Sono le cinque, sto bevendo il primo
caffè del mattino, quando il giornale radio mi raggela con la notizia di un
attentato mortale a Berlino in uno dei mercatini di Natale. Non riesco a
pensare che neanche una settimana prima anch’io ero nello stesso posto, a
cercare pensierini di Natale per parenti ed amici girando tra le bancarelle.
“Berlino
non sa cosa sia il coprifuoco, potete programmare lunghe passeggiate e serate
nei locali notturni”. Cosi recita una nota guida turistica. Si
cammina nelle strade o si ci siede tranquillamente ad un bar; Berlino è davvero
così; l’ho vista la prima volta nel 2006, in primavera con i tigli fioriti ed i
lungofiume pieni di gente. Da subito ho capito che quella città rappresentava
la sintesi riuscita del ricongiungimento delle due metà dell’Europa dopo la
caduta del muro. Est ed ovest ricongiunti da spazi ed edifici disegnati e
ripensati per rappresentare un unico popolo di un’unica città. Cittadini dell’est
e cittadini dell’ovest riuniti da una vitalità e da un’energia formidabile e
contagiosa per tutti compresi noi stranieri.
Ci sono ritornata quest’anno, nel
periodo natalizio. La città si ricopre letteralmente di luci, si passeggia
mescolandosi a rigorose famiglie teutoniche per godere delle mercanzie dei
curiosi mercatini, oppure fermarsi a bere avvolti in una copertina un bicchiere
di Gluhwein, vino caldo dolce e speziato. La cifra dell’energia è la stessa di
dieci anni fa, il mood berlinese intatto.
Berlino
è una città che vive e lascia vivere; forse da lunedì 19 non più. Qualcosa
si è irrimediabilmente incrinato, il folle gesto di un terrorista islamico ha
cancellato nello stupore e nell’orrore vite di innocenti che affollavano uno
dei tanti mercatini di Natale presenti in centro. Il mercatino di Charlotterville,
quello dell’attentato, è uno dei più popolari; non il raffinato susseguirsi
delle casette tutte uguali sovrastate da stelle luminose del mercatino di
Gendarmermarkt, né quello alternativo che costeggia Posdamer Platz. E’ il
mercatino dove puoi trovare un vero spaccato di vita tedesco in un determinato
periodo dell’anno; è un luogo dove regna la normalità della gente comune, quella
che compra una pallina per l’albero o un souvenir a buon mercato per gli amici
al ritorno a casa, gente comune come erano le persone che hanno perso la vita
il 19 dicembre, come potrebbe essere uno di noi. Appunto.
Dalle ultime notizie di cronaca
l’autore della strage, un giovane tunisino, è stato catturato ed ucciso in
Italia in un casuale controllo di polizia.
Morire per una malattia o essere
vittima di un disastro naturale è doloroso ma può essere ricondotto all’ordine delle
cose, ma morire per mano di chi in nome di una ideologia religiosa si arroga il
diritto di togliere la vita a persone innocenti questo è davvero difficile da
accettare.
In occasioni come queste resta sempre
lo sgomento per la irrimediabilità dell’evento: nessuno potrà restituire ai
morti la loro vita; ma anche l’ingiustizia
del gesto: nessuno può togliere a nessuno il futuro, i sogni, i
progetti. Nulla può giustificare fatti come quelli di Berlino e di altre parti
del mondo.
Molte sono le analisi per la
comprensione del terrorismo islamico; si potrebbe azzardare che laddove la
pacifica convivenza venga meno, dove una
modernizzazione contraddittoria dell’Islam nell’Occidente fallisca
nell’impossibilità di una reale integrazione e non di un appiattimento di una
cultura sull’altra, la radicalizzazione religiosa diventi una sorta di
riscoperta di se e della propria identità collettiva.
Angela Merkel nel suo discorso
all’indomani della strage ha detto di non avere risposte semplici e che i
tedeschi troveranno la forza per continuare ad essere uniti, aperti, liberi.
D’altra parte la sua posizione sull’accoglienza resta netta e resiste alle non
poche pressioni della destra.
Berlino come Parigi, Londra, New York,
città colpite al cuore della loro stessa essenza, città che però, anche nelle
parole dei sopravvissuti alle stragi e dei parenti delle vittime, non intendono
piegarsi alla insensatezza della violenza loro inflitta; città che non
rinunciano alle loro conquiste di libertà e civiltà; città che si affidano alla
memoria collettiva per non dimenticare nessuna delle loro vittime; città che
probabilmente, come ci dice Lucia Mastrodomenico, provano un dolore che si
rinnova senza tregua ogni qualvolta accadono eventi come quello di Berlino,
accadimenti troppo grandi per essere capiti fino in fondo; città abitate da
donne ed uomini che ripongono nelle relazioni e nella tolleranza reciproca la
speranza di un futuro possibile, per “vivere
insieme e non morire insieme” (B.Russell- Messaggio ai Posteri)
Maria
Vittoria Montemurro