Proseguiamo
con la presentazione dei risultati dell’indagine condotta tra i volontari che
si occupano di persone senza dimora (la prima parte è stata pubblicata in
questo stesso sito il 4 dicembre u.s.), occupandoci della rappresentazione che
i volontari offrono del disagio vissuto dai propri assistiti.
Sul
piano della percezione delle problematiche connesse alla condizione di “senza
dimora”, le idee dei volontari sembrano piuttosto chiare.
Alla domanda: “Nel tuo servizio, quali sono i principali problemi riscontrati tra i
senza dimora?”, ben il 46,51% del campione risponde che il problema
principalmente riscontrato è la
solitudine, poi a seguire la povertà
economica, con il 27,91%, le problematiche
familiari, con il 16,28 %, e così via.
Aldilà
dunque della frequenza – riconosciuta anche dalle più recenti indagini
nazionali – con cui il combinato effetto della povertà e delle problematiche
familiari determina lo scivolamento nella condizione di senza dimora,
l'isolamento relazionale è percepito come uno dei principali problemi di queste
persone.
La
solitudine, infatti, non solo diviene, con il tempo, causa di problemi emotivi
e relazionali, ma – in un contesto sociale in cui anche la ricerca di un'occupazione
e la costruzione di un ruolo sociale passano attraverso il contributo
determinante della famiglia e della rete di “conoscenze” di un individuo –
genera un circolo vizioso che cronicizza la condizione di disagio.
D’altro
canto la consapevolezza che sia la rottura degli equilibri relazionali, prima
ancora della deprivazione materiale, all’origine dei percorsi di emarginazione
è già da tempo patrimonio della sociologia e dell’analisi del fenomeno dei
senza dimora.
Il
sociologo francese Robert Castel, per descrivere il processo attraverso il
quale, progressivamente, un individuo
perde i legami sociali - distaccandosi dai propri sistemi di protezione - smette di dare senso alla propria esistenza e
dunque vede affievolirsi le proprie capacità di reagire alle avversità, coniò
il termine “disaffiliazione” [dèsaffiliation].
Un processo che tende indubbiamente a verificarsi con maggiore frequenza in
contesti di forte deprivazione materiale, ma che non ne costituisce la
conseguenza automatica e reversibile.
Proseguendo
l’indagine, tra le cause più frequenti di violazione della dignità dei senza
dimora, i volontari intervistati individuano prevalentemente la naturale diffidenza tra le persone (30,23%) e l'intolleranza
verso i diversi (27,91%), solo
in subordine i comportamenti eccessivi
dei senza dimora (13,95%) oppure
aspetti dell’organizzazione sociale, come la
mancanza di strutture adeguate etc…
Mentre
le cause più frequenti di contrasti e tensioni tra gli stessi senza dimora,
sono ricondotte essenzialmente alle dinamiche connesse alla gestione delle
scarse risorse disponibili, con il 53,49%,
e solo in subordine (anche se il dato non appare trascurabile – il 20,93%),
alla diversa provenienza geografica.
Va
registrato, tuttavia, che con il progredire del questionario/intervista in
profondità, sulla percezione di alcune caratteristiche – o su elementi del
vissuto – dei senza dimora incontrati
durante il servizio, i volontari hanno mostrato una sempre maggior difficoltà a
rispondere con precisione.
Questa
difficoltà è stata in parte motivata dagli stessi intervistati con la scarsa
interazione avuta con i senza dimora assistiti, soprattutto nei servizi di
distribuzione e nelle mense.
Una
scarsa interazione a sua volta spiegata in parte come conseguenza della natura
del servizio svolto dalle/gli operatrici/ori intervistati (ad es. le addette
alla cucina), ma anche della volontà di non essere “invadenti” nei confronti
dei senza dimora, con domande inopportune o con chiacchiere superflue. *
Per
questo, ad esempio, a domande relative alla stima circa il possesso da parte
dei senza dimora assistiti di eventuali benefici economici, oppure alla stima
di quanti possano aver avuto problemi con la giustizia, il tasso di “non
risposta” e di “non saprei” è elevatissimo.
Purtroppo
anche su età e provenienza dei senza dimora assistiti i dati disponibili non
sono utili, ma questa volta per un problema di raccolta degli stessi, infatti
le relative domande non erano presenti in tutte le versioni del questionario
utilizzate. Dai dati parziali raccolti si evince tuttavia una sostanziale
equivalenza della componente italiana e straniera assistita, mentre per quanto
riguarda l'età, la maggioranza dei senza dimora si collocherebbe nella fascia
40 -50 anni, con un trend di crescita, tuttavia, dei giovani e dei “grandi
anziani”.
Percezione
delle aspirazioni, dello stato di salute mentale e della diffusione delle
dipendenze (in particolare dall'alcool) tra i senza dimora, sono le ultime aree
su cui il questionario si proponeva di raccogliere dati.
Ebbene,
per quanto attiene alle “aspirazioni” dei senza dimora percepite dai volontari,
le risposte ottenute, oltre a confermare le prevedibili percezioni di desideri
legati ad una vita normale (il
37,21%), alla reintegrazione sociale (il
27,91%) ed al rispetto dei diritti umani (il
20,93%), includono un 6,98% di “non risponde/non ricompreso”.
Si
tratta di quegli operatori che hanno cercato di esprimere la condizione dei
senza dimora che hanno perso ogni speranza, rispondendo semplicemente: “Aspirazioni
non ne hanno”.
In
diversi casi gli intervistati hanno voluto specificare che mentre i senza
dimora giovani e gli stranieri (in modo particolare) presentano, generalmente,
un certo grado di motivazione a superare la propria condizione attuale e dunque
possiedono una serie di aspirazioni tra quelle proposte dal questionario, i più
anziani e quelli che sono senza dimora da più tempo, mostrano generalmente una
marcata carenza sia di motivazione al cambiamento che di aspirazioni.
Sul
versante della salute mentale, la percezione prevalente dei volontari è che i
senza dimora incontrati siano per lo più sani di mente (48,84%) o, al massimo, nevrotici (46,51%), a causa delle proprie difficoltà di
vita.
Tuttavia,
alla richiesta di fornire una stima percentuale dei senza fissa dimora ritenuti
“nevrotici” - per le difficoltà di cui si è già parlato - i più rispondono “non
saprei”.
Infine,
sull'uso/abuso di alcool, le risposte fornite dai volontari intervistati
sembrano ricalcare gli stereotipi più comuni. Nonostante una cospicua
percentuale di “non saprei” e di mancate risposte (rispettivamente il 25,58% ed
il 4,65%), la maggior parte riconosce che i senza dimora fanno diffusamente uso
di alcool (cumulando quanti stimano in più del 20 e del 50% del totale i senza
dimora alcolisti, si arriva al 44,19% dell'intero campione intervistato).
Chi
fosse interessato a conoscere grafici e tabelle può farne richiesta a madrigaleperlucia@gmail.com
Ivo Grillo (Sociologo)
* Naturalmente
questo deficit di relazione è molto meno avvertito nelle strutture di
accoglienza (sia diurne che notturne) nel cui protocollo di accesso è
generalmente incluso un colloquio conoscitivo, per questo i volontari operanti
in tali contesti tendono ad esprimere giudizi più netti.