Il desiderio che muove il
riconoscimento di autorità è dato dal voler imparare da chi ne sa di più di te;
da questo riconoscimento si è passati, in modo particolare nelle scuole medie,
dove la funzione di molte insegnanti frustrate viene agevolata dall’età dei
ragazzi, non più bambini nè giovani, un
età di passaggio, difficile, facilmente condizionabile dal modello normativo, a quello che potremmo chiamare “apprendimento veloce”, ossia orientare
i ragazzi il più presto possibile. E loro a velocizzare i tempi sono molto
bravi, in una sintesi che inaridisce la narrazione delle esperienze. Il
giudizio è la logica conseguenza di una prestazione, ansia della
prestazione, uno svuotamento di senso
che rende i passaggi della crescita (compreso quello di una “reale” autonomia),
le relazioni tra i ragazzi e tra i
ragazzi e le insegnanti, un bene insignificante.
Se parliamo di ridare dignità
alla pedagogia non possiamo non parlare di pedagogia della differenza sessuale.
L’unica differenza che attraversa tutta la specie umana, piccoli o grandi,
bianchi o neri, immigrati o no, è essere maschi o femmine.
Questa verità che fa fatica ad
entrare nella testa di molti è essenziale, oggi più che mai per vari motivi : come
dice Luce Irigaray il modello storico della famiglia è ormai in crisi e nessuna
visione naturalista della specie umana, semplice affettività o moralismo può
ristabilire l’unità familiare così come era una volta. Non è il caso di
rimpiangerla. I sentimenti, i legami di quella famiglia non erano quasi mai
l’amore e il desiderio. Fare figli, l’autorità paterna e il possesso dei beni
ne facevano la sua esistenza. Della famiglia (famulus che significa servitore
servo) molti non ne vogliono più sapere, specialmente le donne. Si tratta di
sviluppare un’altra relazione con il desiderio: “…una coltivazione della carne come possibilità di amarci senza sottomissione
dell’uno all’altro….La famiglia è da rifondare non come luogo della
sopravvivenza o di riproduzione ma come luogo dove una Storia ancora viva si
muove verso un compimento più umano e divino grazie al lavoro del desiderio e
dell’amore di quelli che tentano di condividere corpi e anime per la creazione
di una nuova umanità..”(*)
Ma come si crea una relazione
uomo-donna più giusta nel lavoro e nell’amore se non si inizia con i bambini e
le bambine? Per imparare a vivere,
uomini e donne, a relazionarsi senza annullare la differenza, è necessario
iniziare da piccoli.
Ma concretamente questo cosa
significa? I giovani ritengono che la differenza
sessuale si riduca al sesso: i maschi hanno il pene, le donne la vagina. Le risate
dei giovani celano la vergogna se si parla di sessualità. Quel che
rimane sono i termini imparati a scuola;
ne sanno di sessualità, vedono la televisione, ne parlano tra di loro, parlano anche di come
possono essere sfruttate le donne ecc.
Apprendono il sesso disgiunto dall’amore, accade che i maschi si sentano soli,
imbarazzati, senza parole per esprimere i loro desideri, obbligati già da
piccoli ad un ruolo preconfezionato.
La femminilizzazione che vediamo
oggi in molti uomini adulti e la mascolinizzazione di molte donne
(principalmente per la spartizione del potere) non convince. Il vero scambio
inizia mantenendo la propria identità, senza nessun appiattimento emancipatorio
che conduce, ahimè, alla parità.
I bambini delle elementari sono
più vivaci di quelli delle medie o delle superiori. Lo schema normativo, per i
più grandi, ha fatto già la sua apparizione, la stigmatizzazione su come si
deve essere maschi e femmine già funziona. Le capacità creative non vengono più
fuori, sono state sapientemente inibite. I ruoli, oggi sempre più confusi,
vengono costruiti e vissuti con grande insoddisfazione.
Questo crea un problema per le
donne che vogliono, con l’altro sesso, un rapporto più soddisfacente. Le
ragazze predisposte alla vita relazionale proiettano loro stesse nel “tu”. I ragazzi centrano il mondo intorno
all’ “io”. C’è bisogno che le ragazze ritornino all’“io”, al “se” per poter
comunicare con i ragazzi. E’ importante far capire alle giovani che il ragazzo
non condivide il modo di relazionarsi della ragazza, per lui è importante
oggettivare la relazione; la troppa vicinanza, l’amore assoluto li fanno
scappare.
Essere bambine/i, ragazzi/e,
uomini e donne deve significare, “stare nella verità” come dice Emilio
Varrà “dove la verità non è certo un
esito definitivo, un valore assoluto, piuttosto una predisposizione alla
ricerca, all’avventura, alla curiosità. Sono questi, in fondo, i veri
presupposti di un qualsiasi atteggiamento culturale, che si fonda sul desiderio
di conoscenza, prima ancora che sulla conoscenza acquisita.” Coltivare la possibilità di un nuovo desiderio sessuale, un nuovo modo
di fare l’amore, anima e corpo che,
senza neutralizzare la differenza, crei il luogo dell’incontro, è compito
centrale dell’ educatore.
Il presente che molte donne
vivono è quello di un riconoscimento intellettuale, di una possibilità in più
per esserci come soggetti pubblici, competenti in vari settori e professioni per
far sentire la propria voce. Il rischio è di adattarsi su dinamiche di potere,
tipicamente maschili, sacrificando la/le relazioni. E’ da questo rischio che
dobbiamo difenderci; è da noi stesse che
dobbiamo ripartire. Dobbiamo credere di più nelle relazioni umane, investire
meno sul potere, sul narcisismo, sui beni materiali. Forse solo così le donne
potranno continuare a dare il loro contributo al miglioramento della specie
umana.
Lucia Mastrodomenico (febbraio
2006)
(*)Luce
Irigaray - Alla ricerca di un’altra etica – “La Repubblica” – 16.9.05