La stagione del Teatro Stabile di
Napoli si è aperta con la tragedia di Shakespeare “Macbeth”, magistralmente
messa in scena da Luca de Fusco nel quattrocentesimo anniversario della morte
di uno dei maggiori scrittori di tutti i tempi.
Moltissimo è stato scritto su questa
tragedia, moltissime sono state le sue chiavi di lettura, moltissimo si è
discusso della sua attualità.
Questa è la tragedia di una coppia,
Macbeth senza lady Macbeth non esisterebbe. L’impossibilità per Macbeth di
essere completamente empio risiede in un nocciolo di bontà che dopo la
predizione delle streghe lo fa vacillare continuamente nei suoi scellerati
propositi fino a quando nella condivisione del progetto delittuoso con lady
Macbeth, questa non lo richiama all’azione tacciandolo di essere altrimenti
codardo e vile.
La relazione costituisce per i due
l’unica possibilità progettuale, la loro differenza sessuale diviene funzionale
all’attuarsi di questa.
Su Macbeth agisce il soprannaturale, la
fascinazione delle streghe, la possibilità che la sua condotta retta e leale
possa mutare radicalmente alla luce della predizione di diventare re; il
prendere in considerazione l’azione criminosa nasce dalla sua mente e vi resta
tormentando continuamente i suoi pensieri.
Tuttavia Macbeth non è in grado di incarnare
la sua brama di potere, la sua mente la sublima senza darle operatività; egli è
infatti incerto, dubbioso. L’attuazione dello scellerato progetto può avvenire
solo attraverso il corpo, il male ha bisogno di essere incarnato. La presenza
di lady Macbeth è dunque necessaria alla attuazione del progetto. Lady Macbeth
incarna il desiderio di potere; il suo è un corpo di donna del quale ella
stessa però pensa non sia completamente bastevole alla audacia del suo
desiderio. Il suo famoso monologo resta, a mio giudizio, una delle pagine più
laceranti; la lady chiede agli spiriti di privarla del suo sesso, di riempirla
di crudeltà dalla testa ai piedi, di privarla della sua com-passione perché,
forse inconsapevolmente, sa che quella è la breccia della sua determinata
ambizione.
Macbeth e la moglie funzionano insieme,
dando vita ad una catena di efferati delitti, nei quali nessuno è fatto salvo
perché nessun ostacolo possa frapporsi tra i due ed il trono di Scozia; il loro
è un rapporto simbiotico che regge fin quando sono inconsapevoli della loro
irriducibile differenza; in quello iato risiede la loro resa, la loro rovina
materiale e morale; non reggeranno da soli il peso della efferatezza e del
sangue versato nel quale, secondo il commento freudiano, “lei diventa il
rimorso dopo il delitto e lui la sfida ostinata”.
Da quel momento in poi ognuno va
incontro al proprio destino. Il vaticinio dei “demoni impostori che mentono pur
dicendo la verità” è compiuto. Macbeth è “avanzato a tal punto nel sangue che
il tornare indietro sarebbe faticoso quanto il procedere”. A lui resta l’angoscia,
le allucinazioni, il sonno senza riposo ed infine la morte nella battaglia
della profetica “foresta che avanza”. Alla lady il suicidio, che Macbeth, quasi
incidentalmente nella scena, commenta: “sarebbe dovuta morire prima o poi,
sarebbe venuto il momento per una parola siffatta”.
Maria
Vittoria Montemurro (Medico, Presidente “Madrigale per Lucia ONLUS”)