4,6 milioni d’indigenti, 1,6 milioni di famiglie
in povertà, ci segnala l’ISTAT, nel suo ultimo rapporto sul fenomeno in Italia.
Il rapporto dell’ISTAT descrive un’Italia sempre più povera e più afflitta
dalle diseguaglianze dove, ancora una volta, se ve ne fosse bisogno, dati ed
indicatori analizzati dall’istituto di statistica nazionale, mostrano come il
divario tra nord e sud si amplia. Già, in altri articoli, abbiamo descritto le differenze in termini di
speranza di vita alla nascita, di morbilità, di opportunità di accesso al
lavoro, indicatori tutti sfavorevoli per chi nasce e vive al sud. Anche i dati
sulla povertà sono chiari al riguardo : le persone che vivono condizioni di
povertà assoluta sono in Italia il 7,6% della popolazione; al nord il 6,7%, al
centro il 5,6, al sud il 10,0. L’Istat differenzia la povertà assoluta dalla
povertà relativa. Cos’è la povertà assoluta ? è il valore monetario, a prezzi correnti, del
paniere di beni e servizi considerati essenziali, per ciascuna famiglia, in
base ai componenti il nucleo familiare, età degli stessi, tenuto conto inoltre
se la famiglia vive in un’area metropolitana o in un piccolo comune. Una
famiglia è “assolutamente povera” se sostiene una spesa mensile inferiore a
tale valore monetario. Con un esempio ci si capisce meglio : famiglia di tre
persone, area metropolitana, è assolutamente povera se ha una possibilità di
spesa inferiore ai 900 euro mensili. Quindi povertà assoluta è “l'incapacità di acquisire i beni e i
servizi, necessari a raggiungere uno standard di vita minimo accettabile nel contesto di appartenenza". La povertà relativa è un parametro che
esprime la difficoltà economica nella fruizione di beni
e servizi,
riferita a persone o ad aree geografiche, in rapporto al livello economico
medio di vita della nazione. Fa riferimento a una soglia convenzionale adottata
internazionalmente che considera povera una famiglia di due persone adulte con
un consumo inferiore a quello medio pro-capite nazionale.
Quindi la percentuale di persone povere in
Italia è aumentata : si è passati dal 6.8% del 2014 al 7.6% del 2015. Si
acuisce la forbice tra sud e nord. Particolarmente preoccupante è il dato che
riguarda i minori che vivono condizioni di povertà assoluta : nel 2015 1 minore
su 10 si trova a vivere tale condizione; nel 2005 era 1 minore su venti. Segnali
tutti che indicano come la povertà sia una vera e propria emergenza nazionale.
Particolarmente complessa ed oggetto di costante scontro politico è l’analisi
delle cause dell’ampliarsi del fenomeno. Un’analisi estremamente semplicistica
e poco attendibile individua cause quali : l’euro, la presenza di immigrati, la
carenza di ordine pubblico, la scarsa difesa dei confini nazionali. Eppure
alcune di queste motivazioni sono state alla base della brexit e, chi sa, se si
svolgesse un referendum analogo, anche in Italia, quali potrebbero essere i risultati.
Più utile soffermarsi, a mio avviso, su quali le
possibili soluzioni: la Camera dei deputati ha approvato, in questi giorni, il
DDL contro la povertà, il cosiddetto “reddito d’inclusione”. Un miliardo e
seicento milioni di euro in due anni contro la povertà ha esultato (al solito)
su twitter il Presidente del Consiglio.
L’intenzione è far partire la misura entro il 2017; i tempi sono poco credibili:
occorre completare l’iter parlamentare entro sei mesi, poi il Governo dovrà
varare i decreti attuativi ed attendere il parere in merito delle camere.
L’intenzione della nuova norma non è male; ma i tempi d’attuazione sono poco
credibili. La delega stabilisce che i contributi economici andranno alle
famiglie, nell’ottica di un loro reinserimento sociale e lavorativo. È prevista inoltre la presa in carico dei
servizi sociali per i beneficiari che si
saranno resi disponibili a progetti su misura con obiettivi di formazione
professionale, di impiego e rispetto di alcuni doveri (come ad esempio mandare
i figli a scuola). Le erogazioni saranno alimentate dal Fondo Nazionale anti
povertà, istituito dall’ultima legge di stabilità. Quindi un fondo ad hoc. Da
quando sarà attivo? Staremo a vedere, attendiamo fatti concreti.
Fino ad ora la distribuzione dei finanziamenti
relativa al welfare italiano non spinge ad essere ottimisti. Nel 2013 in Italia
la spesa per il welfare era così distribuita : pensioni 380 miliardi di euro
(70% circa del totale); sanità 102 miliardi di euro (22% circa); assistenza 38
miliardi di euro (8%) del totale. Tra le pensioni - leggasi INPS - vanno anche annoverati i 18
miliardi di euro volti a finanziare le invalidità (handicap, accompagnamento
etc.). In questo caso, per la quasi totalità delle elargizioni, si
tratta di assistenza gestita dall’INPS. Un meccanismo abbastanza disordinato
dunque, nel quale il neo istituito Fondo Nazionale antipovertà andrà ad
inserirsi, contribuendo ad incrementare la complessità della gestione e delle
verifiche necessarie al sistema. Sistema spesso incomprensibile ai normali cittadini, tra modelli ISEE, deleghe ai patronati,
servizi sociali dei Comuni, e tanta, tanta cara italica burocrazia.
Poche novità per chi, come associazioni ed
ONLUS, si occupano della “povertà estrema”, quella, per intenderci, che secondo
le valutazioni della Banca Mondiale, caratterizza le persone che tirano avanti
con meno di 1,25 dollari al dì : immigrati, senza dimora, disagiati psichici, i
“dannati della terra” per dirla con Frantz
Fanon. Persone di cui ci occupiamo da tempo, insieme ad altre ONLUS, e di cui continueremo ad occuparci con azioni
ed opere, ma, anche con articoli che, saranno a breve pubblicati, sul periodico
che state leggendo.
Roberto
Landolfi