Nonostante i drammatici eventi, che quasi quotidianamente sconvolgono l’Europa,
la discussione sugli effetti reali dell’uscita della Gran Bretagna dalla UE e l’ipotesi
dei possibili quanto inediti scenari relativi a molti aspetti della vita
quotidiana di noi europei e degli inglesi stessi, continua ad occupare
tumultuosamente le agende dei governi europei e non solo. Anche lo stesso Regno Unito, tanto unito, non appare più, basti pensare alla posizione della Scozia e degli altri Paesi britannici.
Uno degli ambiti, tra i cavalli di
battaglia dei fautori della Brexit, ha riguardato il sistema dell’assistenza
sanitaria, il sempre meno efficiente Servizio Sanitario Inglese (NHS), dal
dopoguerra riferimento per tutti i costituendi sistemi sanitari europei -Italia
compresa- per i suoi caratteri di universalità, equità ed opportunità di cura di tutti i cittadini.
Lo spauracchio della pressione sul NHS da
parte degli immigrati – europei!- ad esempio con aumento dei tempi di attesa nei
pronti soccorso degli ospedali e negli ambulatori dei General Practioners
(Medici di Medicina Generale), sbandierato da Farange ed altri pro Brexit,
nonché l’enorme risparmio di risorse conseguente alla chiusura dei rubinetti a
Bruxelles, ha sicuramente giocato un ruolo decisivo nell’esito del referendum,
senza dire che, i migranti europei e non, con le loro tasse in qualche modo
sostengono il sistema sanitario, dal momento che lo usano poco in quanto
prevalentemente più giovani della popolazione media inglese ed in buona salute.
Nel corso degli ultimi anni il NHS ha
iniziato ad avere non pochi scossoni pur rimanendo sostanzialmente garantito da
e con risorse pubbliche nonostante i continui tagli alla spesa sanitaria. Il
colpo di grazia, se così possiamo dire, l’ha assestato il dimissionario primo
ministro David Cameron che, con l’ultima riforma sanitaria del 2013, ha escluso
nel calcolo della assegnazione delle risorse indicatori quali la deprivazione e
la diseguaglianza sociale, utilizzando esclusivamente quelli di numerosità ed
età della popolazione con il risultato che abitanti di zone più povere e meno
densamente popolate siano state ulteriormente penalizzati. D’altra parte
l’assegnazione a medici organizzati in consorzi di diritto privato (superamento
dei precedenti Foundholders) ai quali è
delegata di fatto la negoziazione e l’acquisto di prestazioni sanitarie per i
propri assistiti sia dal pubblico che dal privato, palesa l’obiettivo politico
di liberalizzazione del NHS, affidandosi a leggi di mercato piuttosto che di
tutela della salute di tutti i cittadini, senza l’evidenza chiara di quali siano
i sistemi di vigilanza e controllo rispetto all’acquisto di prestazioni più
concorrenziali ed economiche ma non necessariamente di adeguata qualità. In un
tale contesto la Brexit potrebbe aggravare il piano della qualità delle cure;
infatti non si è tenuto conto che, tra i vantaggi di cui ha goduto
l’Inghilterra derivanti dalla appartenenza alla UE, vi è stata la possibilità (
attualmente 1 medico su 10 proviene dall’Europa) di impiegare personale di
elevata qualifica professionale proveniente da uno dei paesi europei.
Sul fronte dei professionisti sanitari le
cose non vanno meglio; con l’uscita dell’Inghilterra dalla UE gli operatori
delle strutture sanitarie inglesi potrebbero rischiare di perdere tutte quelle
tutele di protezione sui luoghi di lavoro, maternità retribuita, divieto di
lavorare oltre le 48 ore settimanali, diritti acquisiti in seno alla UE, come
ha vigorosamente evidenziato la Signora Nicola Sturgeon, Primo Ministro
scozzese.
Allo stato non è dato sapere quando e
come la Brexit sarà attuata; in ogni caso sul piano simbolico è una realtà
che noi europei non possiamo ignorare e
sulla quale dobbiamo riflettere.
È possibile affermare, al netto delle strumentalizzazioni
che, una così importante decisione sia stata mercé di ideologie e semplificazioni
di argomenti molto complessi, difficili da spiegare da parte degli addetti ai
lavori e più che mai ardui da comprendere da parte dei cittadini, vanificando
di fatto lo strumento referendario.
Ad ogni modo sarebbe auspicabile
l’individuazione di soluzioni responsabili e realmente partecipate che riescano
a tutelare in tutta l’Europa, Inghilterra compresa, la salute dei propri
cittadini, consentendo alle persone pari opportunità di cura e alla scienza di
proseguire il proprio cammino indipendentemente dalle appartenenze.