La Gran Bretagna lascia l’Unione Europea per
volontà del popolo che ha votato. Il 23 giugno 2016 è una data destinata a
passare alla storia. La Gran Bretagna è
un’isola, gli abitanti delle isole, si sa, non amano integrarsi con le popolazioni
continentali. Hanno votato a favore della brexit l’Inghilterra, meno
decisamente il Galles; contro, hanno votato, la Scozia e l’Irlanda del Nord
(l’Irlanda è dentro l’Unione Europea e
già utilizza l’euro). Molti commentatori hanno già definito il Regno Unito,
regno disunito. Hanno votato a favore dell’uscita gli anziani ed i meno
scolarizzati. Hanno votato a favore del “remain” i giovani ed i più
scolarizzati. Il referendum, voluto dal governo conservatore, si è dimostrato
un boomerang. Il giorno dopo già si sono
viste le immediate conseguenze. Crollano le borse europee (e non solo), crolla
la sterlina. Con un effetto apparentemente paradossale: Londra perde poco più del 2%, fanno molto
peggio Parigi e Francoforte. Disastro
Milano (borsa di fatto appendice di Londra) e Madrid : 12% in meno. Quasi come
se, l’uscita della Gran Bretagna
dall’UE, rappresenti l’ennesima operazione dei forti a scapito dei deboli.
Il primo ministro conservatore Cameron si è
dimesso. Andrà via il 1 ottobre e gestirà la fase di transizione che porterà
alla concreta uscita della Gran Bretagna dalla UE. Quanto durerà la fase di
transizione, quali saranno gli effetti nel breve e medio periodo, nessuno è in grado di prevederlo. Predizioni e
previsioni sbagliate hanno caratterizzato economia e politica, negli ultimi
anni. Previsioni incerte quindi, da
parte di esperti e politici. Nessuno si sbilancia.
Che c’è da augurarsi? Prima di tutto che si
concludano presto le procedure burocratiche per l’effettiva uscita della Gran
Bretagna dall’UE; eventuali lungaggini vanno solo a favore dei poteri forti
(banche, finanza etc.). Che si vada
rapidamente a referendum in Scozia e Irlanda del Nord per sapere se intendono
rientrare nella UE o restare insieme all’Inghilterra. Che la UE adotti finalmente politiche
efficaci contro le disuguaglianze sociali. Che si spieghi bene alle popolazioni europee qual è l’utilità di restare
uniti, in particolare per i giovani e le donne; non è sufficiente infatti la consapevolezza che, stando uniti, si evitano le guerre (come effettivamente è avvenuto da 70 anni a questa parte in
Europa).
Politiche, fatti concreti, che, aiutino i più deboli e non solo i poteri
forti. Dopo, e solo dopo, grandi campagne di informazione e comunicazione per
spiegare alle popolazioni più in difficoltà, meno istruite che si sta facendo
qualcosa per loro. Solo così si eviteranno spinte separatiste, trionfo di
nazionalismi beceri, si metteranno a tacere quanti continuano a parlare alla
“pancia” delle persone. Si eviteranno nuovi referendum e lo sgretolamento del sogno
europeo, anch’esso di origine isolana, nato a Ventotene nel 1944.
La redazione