Le disuguaglianze di
salute sono uno dei maggiori problemi del Servizio Sanitario Nazionale (SSN)
italiano. Il SSN, dopo la modifica del titolo V della Costituzione del 2001, ha
visto acuirsi la forbice tra le regioni del centro nord e le regioni
meridionali. In linea di massima le regioni del centro nord (Lazio escluso)
riescono ad assicurare meglio i livelli essenziali di assistenza (LEA) ed hanno, per lo più, conti in regola.
Le regioni meridionali sono da anni soggette a piani di rientro dal debito e
quasi tutte commissariate. Anche alcune regioni del nord sono in difficoltà a
dimostrazione che il sistema di federalismo regionale, in sanità, ha fallito la
gran parte degli scopi per i quali era stato pensato.
Per la sanità pubblica
lo Stato spende sempre meno. Sale invece la spesa privata dei singoli e delle
famiglie. Se si analizza la spesa sanitaria pro capite nei vari paesi europei
si evidenzia infatti che, in Italia, la
spesa sanitaria è diminuita, in termini
reali del 3,5% nel 2013, il terzo anno consecutivo che vede una restrizione
della spesa (- 0.9% nel 2011, -3.0% nel 2012). Anche i dati preliminari del 2014 indicano
un’ulteriore diminuzione dello 0,4%, a fronte di una crescita del 1,3% nei
paesi OCSE (fonte : Oecd health statistics 2015). In controtendenza è il dato
che, l’aspettativa di vita in buona
salute all’età di 65 anni, in Italia, è di 8 anni per gli uomini e 7 per le
donne, a fronte di una media pari a 9 nei paesi OCSE, e di 15 anni in paesi
come l’Islanda e la Norvegia. È vero quindi che la speranza di vita alla
nascita vede l’Italia al secondo posto al mondo dopo il Giappone, ma la qualità
della vita dopo i 65 anni è peggiore in Italia rispetto ad altri paesi (in
particolare del nord europa dove il welfare è di gran lunga migliore).
Veniamo all’analisi dei LEA
nelle varie regioni attraverso voti assegnati in base alla qualità dei servizi
erogati, dal Ministero della Salute. La griglia dei LEA, presa in esame dal
Ministero della Salute, consiste in 31
indicatori, ciascuno dei quali è stato
valutato con un punteggio da – 1 a 9. Tra gli indicatori presi in esame : - il
numero dei tagli cesarei sul totale dei parti; - il numero dei soggetti vaccinati; - la riduzione dei ricoveri inappropriati; -
l’assistenza domiciliare integrata, gli screening e l’assistenza farmaceutica.
Tra le regioni prese in esame, sia nel 2013 che nel 2014 la Toscana si conferma
al primo posto con 217 punti. Seconda l’Emilia e Romagna con 204 punti. Al nono
posto la Sicilia con 170 punti, ritenuti la sufficienza. Al di sotto della
sufficienza Abruzzo, Puglia, Lazio, Molise, Campania con 139 punti e Calabria,
ultima con 131 punti. Nessuna meraviglia su Toscana ed Emilia Romagna ai primi
posti. Meraviglia la posizione della Sicilia a metà classifica e sopra la
sufficienza. La Sicilia negli ultimi anni ha avviato un programma di
valorizzazione dell’assistenza territoriale, ha potenziato gli interventi a carattere
preventivo e diminuito il numero dei ricoveri impropri. Il percorso di risalita della Campania è invece
ancora lungo. “Mai più ultimi” era uno degli slogan, in campagna elettorale,
dell’attuale Presidente delle Regione Campania. Vedremo se sarà capace di
rispettare gli impegni assunti, atteso che il “mai più ultimi” era riferito
essenzialmente alla sanità.
Un altro studio,
riferito all’anno 2014, effettuato dall’AGENAS, sui bilanci delle Aziende
Ospedaliere (AO), mostra dati solo apparentemente sorprendenti. Gli ospedali della Toscana, che
hanno chiuso con un - 59 milioni di
euro, fanno più debiti di quelli della Campania che hanno chiuso con un + 20
milioni di euro. Da record negativo il Lazio con un profondo rosso da 661
milioni di euro. Bene l’Emilia e Romagna (+ 769 milioni di euro) e la Sicilia
(+ 6 milioni di euro). Oltre la Toscana ed il Lazio, male anche il Veneto, la
Liguria, il Piemonte e la solita Calabria. I dati ci mostrano, ancora una volta
che, i problemi di assistenza e di bilancio delle regioni meridionali
riguardano le Aziende Sanitarie Locali (ASL)
e non le Aziende Ospedaliere. Queste ultime, altro non sono che grandi ospedali, ad alta
specializzazione. Sono le ASL a creare i maggiori problemi : il territorio, i distretti, la gestione della cronicità, l’ assistenza
domiciliare, per non parlare del privato accreditato, dalle cliniche private
alle radiologie, laboratori d’analisi e strutture di riabilitazione
convenzionate con il SSN. Le regioni che hanno riorganizzato l’assistenza
territoriale, resa più efficiente e di migliore qualità, come Toscana, Emilia
Romagna e la stessa Sicilia, hanno rimesso anche a posto i conti. Le regioni
del sud, Campania compresa che, non hanno riorganizzato l’assistenza
territoriale, non hanno chiuso o trasformato in strutture territoriali aperte
24 ore i piccoli ospedali, è visto peggiorare
l’offerta di servizi ed hanno conti in
rosso.
I governi nazionali, succedutisi negli ultimi anni, hanno sbagliato
a considerare la sanità, il SSN, un settore dove effettuare ulteriori tagli e non
un settore nel quale investire. Al fine, nonostante la promessa d’interventi atti a
razionalizzare la spesa, si tratta sempre e solo di tagli lineari. Vengono infatti, dal governo centrale,
ipotizzati tagli, e vengono poi demandate le azioni locali alle Regioni. Il
risultato è che la forbice tra nord e sud si è allargata, anche per la
dimostrata incapacità delle regioni meridionali di reggere il confronto con
quelle del centro e nord Italia. Andrebbero invece realizzate, ad avviso di chi
scrive, piani nazionali di lotta agli sprechi cui tutte le regioni dovrebbero
attenersi. Secondo la fondazione GIMBE
(Gruppo Italiano per la Medicina basata sulle Evidenze) gli sprechi del SSN
ammontano a 22 miliardi di euro (a fronte della spesa 2015 pari a 111 miliardi
di euro); 6 miliardi di euro, potrebbero
essere risparmiati agendo sugli interventi
inappropriati; 5, intervenendo su frodi
e truffe; 4, su acquisti a costi eccessivi; 4, con interventi atti a diminuire
la complessità burocratica del sistema; 3, intervenendo sull’inadeguato
coordinamento dell’assistenza. Appare chiaro che solo un programma nazionale
molto rigoroso potrebbe porsi obiettivi così ambizioni. Ma, in questo caso, il
governo centrale dovrebbe “sporcarsi le mani” assumendo in prima persona la
responsabilità di un piano di trasformazione del sistema, dagli incerti risultati elettorali. La delega alle Regioni ha prodotto più danni
che benefici, in particolare al sud.
Ben difficilmente
vedremo quindi un programma nazionale così come sopra enunciato. Forse allora
si potrebbe cominciare ad utilizzare, a
livello regionale, anche in sanità, le
riflessioni del costituzionalista Michele Ainis che, in un suo recente volume
“La piccola eguaglianza” (Giulio Einaudi editore - 2015), definisce il
meridione”lo scantinato d’Italia”. Per riordinare lo scantinato occorre
soffermarsi sulla regola non scritta del principio d’uguaglianza: sul fatto
cioè che il principio vale per i corpi piccoli non per i più grandi. Conviene
soffermarsi sul concetto di “eguaglianza relativa”, sulla piccola uguaglianza
fra categorie, tra gruppi, tra blocchi sociali. Declinare il principio di
“eguaglianza relativa”, di “eguaglianza molecolare” in sanità può essere un esercizio
utile, non solo teorico. Può aiutare chi governa, a livello locale, a formulare
programmi d’intervento utili allo
sviluppo di servizi sanitari più efficienti e di migliore qualità, nelle
regioni meridionali.
Roberto Landolfi