Passeggiando
per via Montenapoleone, via dei Condotti o via dei Mille che sia, decidiamo di
entrare in un negozio, ed eventualmente comprare qualcosa, senza una deliberata
premeditazione. Lo facciamo perché ci va, “perché
il nostro libero arbitrio non sia spento”, direbbe Machiavelli.
Ma
vi siete mai chiesti perché entriamo proprio in quel negozio e compriamo
proprio quel prodotto di cui non sapevamo neanche l’esistenza, ma adesso sembra
essere così delizioso da non poterne più fare a meno? Ebbene, il Neuromarketing può fornire la
risposta ad un simile quesito.
Tale
scienza rappresenta la più giovane tra le discipline appartenenti alla branca
dell’Economia Comportamentale, e si fonda sulla crasi tra neuroscienze e
strategie di vendita. Questionari, focus group, interviste, sono oggi ormai
diventati obsoleti agli occhi delle aziende all’avanguardia, che si orientano
sempre più verso tale nuova forma di studio del consumatore.
In
sostanza, gli scienziati si servono dei comuni strumenti appartenenti al campo
medico (risonanza magnetica, EEG..) per studiare i processi decisionali di
acquisto, al fine di comprendere informazioni sulle emozioni dei consumatori e,
perché no, predire le preferenze di questi.
In
un esperimento di Neuromarketing, un generico campione di consumatori viene
sottoposto ad una serie di rilevazioni -tra cui dilatazione delle pupille,
battito cardiaco e sudorazione. Nel frattempo, ai soggetti viene chiesto di
compiere una qualsivoglia esperienza d’acquisto, che sia una passeggiata tra
gli scaffali del supermercato o la
visione di uno spot pubblicitario.
Tali
rilevazioni, non implicando una risposta razionale, risultano essere più
veritiere in quanto non influenzate dal pensiero consapevole del soggetto.
Così
facendo, il team di esperti utilizza i dati rilevati per formulare pubblicità e
packaging dei prodotti in modo più accattivante, per rendere più coinvolgente
il gioco dell’attrazione subconscia che caratterizza l’esperienza di consumo,
sfruttando tutti e cinque i sensi che ci sono a disposizione (da qui il termine
Sensory Branding).
Saranno,
ad esempio, sempre più frequenti negozi per signora dove scorreranno nastri di
musica jazz o latina (studi scientifici –citati nel libro “Neuromarketing” di
Martin Lindstrom- dimostrano che la presenza di tali tipologie di musica negli
esercizi può aumentare fino al 15% i volumi di vendita). Inoltre, i risultati
di studi neurologici hanno confermato l’idea che le imprese debbano seguire
regole cromatiche nel commercializzare un prodotto (ad esempio, utilizzare il
bianco nel packaging dei detersivi, o il rosso -colore più energico- per le
scatole del caffè, e così via).
E
il profumo di vaniglia nei negozi di intimo femminile, la forte essenza di
pancetta spruzzata nei fast food, la fragranza di brezza marina nei punti
vendita di costumi da bagno? Tutto frutto di accurati studi neuroscientifici, a
questo mondo nulla accade per caso.
È
dunque possibile affermare che quando acquistiamo qualcosa, l’atto non deriva
solo dalla nostra razionalità, ma in una certa misura è proprio il prodotto che
sceglie noi.
Gli
amanti della letteratura distopica potrebbero presagire un futuro in cui le
decisioni del consumatore saranno totalmente guidate dalla mano della grande
distribuzione, ma tutto ciò è da scongiurare: non può esistere una scienza
dell’irrazionalità, il desiderio umano è soggettivo e intangibile, quindi
impossibile da spiegare in dottrina.
Per
quanto le grandi imprese possano investire in Ricerca e Sviluppo, non riusciranno
mai a cogliere completamente il flusso di coscienza che precede le nostre
scelte d’acquisto.
Potrà
mai un freddo apparecchio per risonanza magnetica registrare le così volatili
emozioni dell’uomo moderno? Signori, non siamo in Blade Runner, la vera macchina perfetta è l’uomo, nella sua
sfuggente e affascinante imprevedibilità.
Fiorenza Orsitto