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La Cina perde Google.


Nella battaglia contro la censura sul web, il motore di ricerca più famoso al mondo,  ha ceduto  al confronto con la Cina. Il tutto è avvenuto in grande silenzio, come le discussioni fra Mountain View e Pechino. Nessun clamore, Google ha rimosso un messaggio automatico molto importante per gli utenti.
Fino all’inizio di dicembre chi, dalla Cina,  digitava nella stringa di ricerca uno dei termini proibiti dal governo cinese (come “libertà” o “democrazia”) veniva avvisato da un messaggio: “La tua ricerca potrebbe causare un’interruzione temporanea della connessione a Google. Questo problema è al di fuori del nostro controllo”. Così, l’utente si rendeva conto di aver violato le regole del Great Firewall, la Grande Muraglia predisposta dalle autorità di Pechino per veicolare l’informazione su Internet.
Attualmente il messaggio non compare più, ed è stato rimosso anche l’articolo nella sezione “aiuto”, che spiegava il funzionamento del servizio. Nessun comunicato ha annunciato l’interruzione. Lo stop è avvenuto dopo mesi di duri combattimenti a colpi di trucchi informatici, con il governo cinese che disattivava l’avviso e Google che cercava modi sempre nuovi per riattivarlo. Introdotto nel maggio 2012, il servizio era subito stato bloccato dai poliziotti del web; un altro stop era arrivato a giugno, e la tensione era salita al culmine a novembre, quando i servizi di Google in Cina erano stati resi inutilizzabili per 24 ore.
A dicembre Google,  sia pur mal volentieri e forse solo momentaneamente, ha alzato bandiera bianca: come annunciato, mesi fa da The Guardian,  il management del motore di ricerca avrebbe al momento deciso che,  continuare la battaglia con Pechino,  sarebbe “controproducente”. La notizia dello stop al servizio di messaggistica è stata confermata da Google, che però ha preferito non fornire altre spiegazioni ufficiali a causa della delicatezza della situazione.
L’avviso automatico agli utenti è solo l’ultimo dei motivi che hanno portato ad una serie di  contenziosi tra Google e le autorità di Pechino. Dal 2006, anno dello sbarco in Cina, il motore di ricerca non ha avuto una facile sopravvivenza: nel 2009 c’è stato un imponente attacco informatico e nel 2010 ha trasferito il server a Hong Kong. Una scelta che ha di fatto tagliato le gambe a Google in Cina, spianando la strada a Baidu, il motore di ricerca locale, ed ha ostacolato  la diffusione di servizi come Gmail e Google Maps. Ora Google ha deciso di fare questo passo indietro, e lo ha fatto in un momento particolarmente critico: un nuovo giro di vite delle autorità di Pechino prevede infatti il blocco degli accessi anonimi a internet. Il mese scorso, riferisce il The Guardian, il nuovo leader del Partito comunista cinese, Xi Jinping, ha annunciato che vi saranno nuovi provvedimenti per imporre a tutti gli utenti di identificarsi prima di accedere ai servizi internet. Un'altra testimonianza che il vero assillo del governo cinese è la libera circolazione delle informazioni in rete.


Rocco Maria Landolfi