“Questo quarto contributo, insieme ad altri che verranno
pubblicati sul sito madrigaleperlucia, è il frutto di un lavoro svolto da
alcuni studenti e studentesse che hanno seguito i corsi di Storia delle
filosofie europee (triennale) e di Filosofia e storia
delle idee (magistrale), presso il Dipartimento di studi umanistici
dell'Università degli studi di Napoli "Federico II". Il corso della
triennale è stato dedicato al filosofo scozzese David Hume, quello della
magistrale ai filosofi spagnoli Ortega y Gasset e Maria Zambrano. Gli elaborati
si concentrano su alcuni concetti chiave del loro pensiero e invitano a una
riflessione più ampia con il nostro presente. Ho scelto e proposto la
pubblicazione di quelli che mi sono sembrati più significativi nella sezione da
me curata”. Stefania Tarantino
Spunti di riflessione
sull’alterità animale nel pensiero di María Zambrano.
In un racconto de Le mille e una notte si legge che la Terra e gli animali
tremarono il giorno in cui Dio creò l’uomo. Questa folgorante visione degna di
un poeta, assume al giorno d’oggi pieno significato, dal momento che sappiamo,
ancora più del narratore arabo del Medioevo, a qual punto la terra e gli
animali avessero ragione di tremare.
Marguerite Yourcenar
Marguerite Yourcenar
L’opera di María
Zambrano si presenta particolarmente feconda di spunti e rimandi alla questione
dell’alterità, con un’apertura al discorso sull’animale, pur non essendo tale
argomento tematizzato esplicitamente e in modo sistematico. A partire dalla
riflessione sulla democrazia, la quale è pronta ad affacciarsi sullo scenario
della storia umana dopo l’abbandono della storia sacrificale – una storia
intesa cioè come tragedia, in quanto legata al meccanismo idolo/vittima –, si
delinea una figura affine al rizoma
deleuziano, il quale «non comincia e non finisce, è sempre nel mezzo, tra le
cose, inter-essere, intermezzo. L’albero è filiazione, ma il rizoma è alleanza,
unicamente alleanza. L’albero impone il verbo ‘essere’, ma il rizoma ha per
tessuto la congiunzione ‘e… e… e…’. [...] Tra
le cose non designa una relazione localizzabile che va da una cosa a
un’altra e viceversa, ma una direzione perpendicolare, un movimento trasversale
che le trascina, l’una e l’altra, ruscello senza inizio né fine che erode le
due rive e prende velocità nel mezzo» (G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia).
In particolare, ciò che
qui sembra affine al concetto zambraniano di democrazia è il terzo principio
della figura deleuziana, ossia quello di molteplicità,
che sottolinea l’apertura del sistema-rizoma, il quale è liberamente e
infinitamente percorribile, analogo ad una rete e pertanto soggetto a sempre
nuove interpretazioni. Inoltre, volendo completare il parallelismo, si potrebbe
accostare la figura arborescente, di cui parla Deleuze, alla nozione
zambraniana di dimensione architetturale, che costruisce gerarchie, e, ancora, il rizoma al delinearsi di una
dimensione musicale.
È in Note di un metodo che Zambrano parla di
una vera e propria classificazione della dimensione vitale che va dall’uomo,
posto all’apice della piramide, agli esseri ritenuti meno sviluppati, posti
alla base: è una gerarchizzazione che secondo la filosofa è ancora in atto e la
cui struttura legittima una gerarchizzazione di qualità delle forme viventi.
Per tal motivo, auspica una capacità musicale della società, quindi non più una
classificazione verticale, ma una dimensione orizzontale e circolare. Nella
musica c’è sempre un’eccedenza, una creatività che non si esaurisce: la musica
è legata alla radice primordiale dell’essere umano, alla sfera del sentire.
Prima ancora di essere “pensanti”, siamo soggetti che sentono: questa “passione
d’essere” è ciò che ci rende primariamente umani. Una pietas dunque che sia forma di comunicazione tra gli esseri viventi
– umani e animali – e che ci permetta di comunicare con ciò che è altro da noi:
da qui prende avvio la critica alla società che ha prodotto la cultura del simile, alla quale Zambrano
opporrà la cultura del differente.
All’uomo che tenta di
ergersi ad assoluto, ponendosi al vertice di una struttura piramidale o
architetturale – insomma, che procede in forma verticale –, è necessario
opporre un pensiero della circolarità, che può essere definito musicale, dal
momento che la musica è sostegno e ordine, ma soprattutto ciò che mette armonia nelle differenze.
Per entrare nel merito
della questione dell’animale, va premesso e sottolineato che la storia –
soprattutto la storia del pensiero – sia stata e sia tuttora percorsa, dominata, dalla violenta dicotomia
uomo/animale. Violenta poiché in essa si nasconde la tentazione di una reductio ad unum, dal momento che in
tale formulazione si consolida la convinzione di una gerarchia che vede l’uomo
signoreggiare sull’animale. Ad eccezione di pochi e isolati casi, dunque, si
può ben dire che solo nel Novecento la questione si sia davvero imposta con
dignità autonoma e sia stata realmente problematizzata. La prospettiva dalla
quale si è analizzata tale questione fino ad allora – pertanto posizione
egemone nella storia del pensiero – non è soltanto riflesso
dell’antropocentrismo, ma più precisamente, utilizzando un neologismo coniato
da Derrida, del carno-fallogocentrismo.
Con tale termine, egli vuole intendere e rendere più specifica la figura del
logocentrismo (pregiudizio del dominio del significato sul significante,
strettamente connesso ai concetti di presenza, senso e λόγος, appunto),
associando alla centralità del λόγος la
centralità del fallo (il
riferimento è polemicamente rivolto alla tradizione della psicanalisi
freudiana), eredità di una cultura maschilista in cui il Verbo è dettato dal
padre – animale umano adulto di sesso
maschile – che sottomette, in quanto cacciatore, l’animale e
conseguentemente la donna e i bambini.
Tale convinzione affonda
le radici non solo nella tradizione giudaica, ben incarnata dal personaggio di
Adamo, ma anche nella mitologia greca: si narra infatti che Prometeo, venuto in
possesso del fuoco, a sua volta lo donò agli uomini, affinché potessero
soggiogare gli animali – definiti da Platone privi di logos – che erano stati resi fisicamente più forti grazie ai doni
di Epimeteo. È in tal modo coniugata l’idea di sottomissione dei non-parlanti a quella della inveterata e
fossilizzata preminenza del maschio, anello di congiunzione tra divino e
animale, quasi un dio terrestre.
La riflessione di María
Zambrano passa attraverso o, meglio, è attraversata dalla difficile definizione
di umano, ma potremmo aggiungere, a ragione, anche rispetto agli animali.
Non è quindi necessario
affermare un’indistinta uguaglianza tra uomini e animali per poter attribuire
una equivalente dignità alle due
(non-più-solo-due) parti. Il punto della questione non è tanto perorare la
causa di una natura comune all’uomo e all’animale, quanto sottolinearne le
differenze al fine di riconoscere le diverse peculiarità all’interno del
vivente.
La ricerca di un’etica
della storia è quindi la questione che l’opera di María Zambrano insegue ed è
ciò di cui la sua riflessione si compone. Non è allora forzato vedere nel
rapporto uomo-animale un particolare (per non dire paradigmatico) tipo di
convivenza, che vada totalmente ripensato, sulla base di un serio principio di
ospitalità, fondato non sulla prossimità ma sull’alterità più radicale, «poiché
la legittimità del sogno della libertà risiede in quel movimento dell’offrirsi
universalmente e concretamente; in quel trascendere della libertà dal soggetto
che la porta con sé, sebbene non l’abbia ottenuta per sé, dal momento che non
l’avrà mai finché non l’avrà offerta agli altri. La libertà appartiene al regno di ciò che si possiede per darlo agli
altri, e che si possiede veramente soltanto quando lo si è dato, come la
parola, come il pensiero stesso» (M. Zambrano, Il sogno creatore).
Valentina Cuomo