Nell’ambito delle
iniziative per la Giornata del Contemporaneo tenutasi nei Musei di tutta Italia
il 10 ottobre, si inscrive la conversazione con Fernanda De Maio, architetta e
docente di progettazione architettonica presso lo IUAV di Venezia, svoltosi
negli spazi della galleria napoletana di arte contemporanea Intragallery.
La conversazione, dal
titolo “lo stato delle cose… sconfinamenti tra architettura ed arte
contemporanea” è incentrata su alcune questioni che Fernanda De Maio utilizza
per esporre il suo punto di vista: gli architetti e gli artisti contemporanei guardano in modo diverso, ma,
ad osservare meglio le loro opere, si coglie un sottile, quasi impercettibile
intreccio; quello sconfinamento di cui si dice nel titolo, perché entrambi, pur
partendo da presupposti diversissimi sono immanenti alla realtà. De Maio ci
mostra con una serie di illuminanti esempi quanto ciò che afferma sia vero. Il
disegno al tratto di Zara Haid che dieci anni dopo si trasfigura negli
articolati volumi del suo MAXXI a Roma, le volute di ferro delle opere di
Richard Serra a confronto con le ardite facciate di Frank Gerhy, le figure
metafisiche di Giorgio De Chirico ed i certosini cammini di pietra di Dimitris
Pikionis, sono solo alcuni degli esempi che la professoressa ci offre.
Molto significativo ed
interessante il punto di vista della De Maio sull’in-between, vale a
dire la possibilità per l’architetto di progettare paesaggi costruiti sulle relazioni tra i
luoghi fisici e simbolici e le persone che li abitano, così che l’azione
dell’architetto e quella dell’artista siano vero e proprio fenomeno
rigenerativo dei luoghi stessi.
La De Maio sottolinea
la dimensione politica dell’architetto e dell’artista; il richiamo alla Avenida
Atlantica di Rio de Janeiro, opera
pubblica di Burle Marx,
sottolinea il ruolo dell’architetto al servizio delle persone, fruibile dalla
gente comune e non per il godimento di una ristretta élite. In tal senso si
muove anche l’arte contemporanea. La capacità di rivelare agli abitanti le loro stesse potenzialità diviene dunque il
“compito”. L’armonia degli spazi, la percezione dei pieni e dei vuoti, della
luce e delle ombre, diviene
esercizio per tutti. Luoghi pubblici,
dove l’intreccio tra architettura ed arte
è sempre più significativo, offrono a tutti, nella quotidianità delle
azioni, sperimentazione emozionale e tensione ad una migliore qualità della
vita, fatta non solo di medicine e cibi biologici.
Un ultimo accenno
Fernanda De Maio lo riserva a Napoli a proposito delle stazioni della
metropolitana dove lo sconfinamento tra architettura ed arte è vistoso
produttore di assoluta bellezza, per tutti.