Sono
solita seguire gli amichevoli consigli per quanto riguarda le buone
letture,cosi anche stavolta sono entrata in libreria,e ne sono uscita con “ Il
resto di niente” di Enzo Striano. Salgo
in funicolare e guardo rapita la copertina rossa che l’editore ha scelto: rosso
fuoco, passione. ”Bel segno” penso,cosi apro il libro e inizio a leggere.
Già
le prime righe donano la vivida sensazione di imbattersi in un romanzo storico,
uno di quei romanzi che di storico ha tutto, anche l’odore delle pagine.
Striano scrive di Eleonora Pimentel
Fonseca, o Lenòr, una ragazzina di
agiate origini borghesi, educata e lodata da tutti, colta e con una intelligenza
esplosiva, una pupilla della alta società
dell’epoca, per intenderci. Appena arrivata a Napoli, Lenòr è del tutto
impreparata alla vocifera, caotica e colorata città, ma ne resta ammaliata, follemente
rapita. Proprio qui inizierà a frequentare i saloni letterari di alcuni amici
dello zio, tessendo amicizie con i più illustri intellettuali del tempo; ne
uscirà una donna dalle idee chiare ed
una grande poetessa, tanto grande da
riuscire ad entrare nella famigerata Accademia dell’Arcadia.
Alla
storia personale di Lenòr fa da sfondo una Napoli in piena rivolta giacobina,
sostenuta ed animata da fondazioni di gruppi e partiti politici illegali,
divulgata attraverso testate
giornalistiche segrete ed incontri clandestini
tra intellettuali e economisti.
Parallelamente
al percorso di crescita intellettuale si affianca quello della donna Lenòr: un
matrimonio disastroso imposto dal padre, come d’abitudine dell’epoca, segnato dalla perenne
incomunicabilità tra marito e moglie; la paura di non essere né una buona
madre, né una buona donna di casa, le difficoltà nell’affrontare scelte di vita
in netto contrasto con tutto.
Striano
però riesce in una cosa mai successa prima: con una scrittura semplice, limpida
e storicamente valida, entra
nell’universo femminile, lo studia, lo analizza, lo denuda, lo mostra
apertamente: Lenòr è un personaggio
particolare, molto vicino a ciò che una donna del nostro secolo dovrebbe
essere.
Debole
e fragile per il matrimonio infelice, reso ancora più triste dalla morte del
figlio piccolo, estenuata dalla costante
perdita di punti di riferimento, di amor proprio, dei suoi ruoli, della
sua femminilità, Lenòr entra in depressione. Ciò che segna la contessa è la sconfortante perdita di quell’amore che solo una donna può
provare per un figlio, quell’amore viscerale, intriso di bel possessivismo che solo le madri sanno
provare. Nonostante la sua triste situazione, che neanche la passione per un
uomo in età matura guarirà, Lenòr non perde il suo spirito rivoluzionario, non
spegne i suoi ardori politici, e non perde
mai la propria dignità, nè in carcere, ne sul patibolo dove sale con in
mano “il resto di niente”.
Nella
figura della contessa ritroviamo quello
che caratterizza anche le donne della società moderna: l’emancipazione,
l’essere madre, moglie, figlia, dirigente, impiegata, poi cuoca e nonna e zia;
si è aspirato a tutto ciò e lo si è raggiunto, eppure, non si è sempre attanagliate nello stomaco da
quella sensazione di inadeguatezza? di
vuoto? dalla voglia di mollare tutto, di lasciar la vita scorrere così come
viene, senza speranze né progetti?
Ma,
così come per la protagonista, anche per le donne d’oggi esiste
il rovescio della medaglia: l’Amore risolve ogni cosa...”Love All Serve All”.
Ecco:
sono la Dignità e l’Amore, con i quali
Lenòr affronta il suo ultimo viaggio, che non bisogna dimenticare, anche se tra
i pugni stretti vive solo il resto di niente.
Simona Bonetti