(Einaudi
editore – 2013 – 261 pagine – 18 euro)
Senz’altro
non avrei comprato il libro di Francesco Piccolo, agendo peraltro un
pregiudizio su cui lui stesso, nel corso della lettura, mi ha fatto riflettere.
Ho pensato : il vincitore di un premio, per giunta di sinistra, sarà un ex sessantottino….
Ma il libro mi viene regalato e così inizia quasi mio malgrado la lettura. La
scrittura di Piccolo mi prende subito, è asciutta ma mai distaccata, e mi
sorprende: egli scrive a partire da se. Ossia ha bisogno dell’altro\a, degli
altri per capire chi è, chi è diventato;
ha bisogno cioè delle sue relazioni pubbliche e private per comprendere il suo
desiderio, che è desiderio di tutti, “di rassomigliare ai nostri simili, di
condividere il più possibile il destino comune” (Natalia Ginzburg all’inizio
del libro). Piccolo, attraverso accadimenti come il colera a Napoli, la finale
dei mondiali del 74, l’assassinio di Moro, il declino fino alla morte di
Berlinguer, l’ascesa di Berlusconi etc, parla di se, della sua esperienza di
uomo profondamente di sinistra. Potremmo definirlo per certi versi un
romanzo di formazione; il suo è un
attraversamento doloroso ed allo stesso tempo leggero, plasmato dagli incontri
e dalle relazioni sia pubbliche che private. Si fa strada una distanza sempre maggiore tra lui e
l’ideologia, tra lui ed il pregiudizio, analizzando senza infingimenti né scuse
la posizione della sinistra (sia quella maggiore che quella estrema) a partire
dalla morte di Moro, tramonto del compromesso storico, alla storia politica di
Berlinguer ed alla ascesa del berlusconismo. Ci fa riflettere su come la
politica che si ponga il problema di ciò che accadrà in seguito alla sua
decisione soprassedendo, se necessario, alla Purezza dei propri principi, forse
possa essere più feconda, più sintonica con la “forza delle cose” (passaggio di
una lettera di Goffredo Parise riportata da Piccolo) che, nel mentre cerchiamo
di capire, ha già operato il mutamento.
Il
libro di Piccolo analizza il sentimento
della sicurezza che è data dallo
stare fuori dalle situazioni senza nessuna assunzione di responsabilità,
ritenendo che il non venire meno ai propri principi sia garanzia di purezza e
correttezza morale. Il potersi liberare della Purezza, il comprendere che non
si può attraversare la propria vita senza prendersi neanche una responsabilità
attiva gli fa dire con decisione che “la
testardaggine di non tradire se stessi (l’etica dei principi) era in
contraddizione con la necessità di non tradire milioni di persone (l’etica
della responsabilità). Piccolo analizza la pericolosità della
autoreferenzialità politica, una sorta di incapacità a comprendere, di estraneo
snobismo agli errori ed alle brutture del Paese.”L’estraneità rende impermeabile la conoscenza, e senza
conoscere le ragioni degli altri, non si può combatterle”, ci dice Piccolo.
In
tal senso Francesco Piccolo sdogana la
superficialità. La superficialità diviene elemento positivo, “una interessante
chiave per poter stare al mondo”. Un diversa angolazione di veduta delle cose.
Un elemento di leggerezza che sdrammatizza, rende sopportabile l’esistenza nel
momento in cui si sceglie di scegliere, si sceglie di mettere alla prova, per
superarlo, il proprio senso democratico.
E
allora si può provare a governare
seguendo l’istintivo desiderio di “essere come tutti”. Si può governare, si
possono fare compromessi, anzi ci dice Piccolo ”il compromesso è la forza del
progresso”. È per questo che lui ci mette in guardia rispetto alla
recrudescenza di purezza che si sta nuovamente
impadronendo della sinistra
azzerando tutto il resto. L’unica possibilità è piantarsi in questo
Paese ed appassionarsi al susseguirsi
degli eventi. Di diversità e solitudine, di desiderio di essere come tutti è fatta la nostra infelicità che tuttavia ne
è anche la sostanza migliore. Vale la
pena restare a tutti i costi qui.
Maria Vittoria Montemurro