Con Roberto Landolfi ci
ritroviamo spesso a parlare di politica e massimi sistemi. Lui con una
formazione da medico del lavoro, un passato di dibattiti, assemblee e
militanza; io cresciuto in epoca post-ideologica e post-industriale,
appassionato di storia, laureato in Scienze Politiche, pragmatico per
professione e con una cultura medio-bassa di cose di filosofia e dottrina
politica.
Proprio per questa mia formazione
poco elevata (mi vergogno di quello che non so), in genere esprimo opinioni ma
non le scrivo. Tuttavia, Roberto mi ha provocato con le sue considerazioni
sulla lettura di Popper e allora, imitando l’Americano a Roma Alberto Sordi al piatto di spaghetti che aveva di
fronte: “m’hai provocato e mo’ te magno”.
Le considerazioni riportate di
seguito sono in ordine sparso, rispetto ad alcune cose lette in “La lezione di
questo secolo”
- “Gorbaciov
inaugurò la borsa valori prima che un nuovo corso della giustizia”
Mi viene da dire “ovvio”!
Gorbaciov era cresciuto a pane e
marxismo, quindi, dato che nella visione marxista è l’economia che determina le
cose, se Gorbaciov voleva cambiare l’URSS, non poteva non partire
dall’economia.
Per questo, Gorbaciov ha
inaugurato il nuovo corso non con giudici nuovi (che si sarebbero comunque
formati in un ambiente culturale sovietico), ma con la Borsa Valori, convinto
che quello fosse il motore per modificare radicalmente lo Stato.
Inoltre, la giustizia ed il diritto
sono il risultato di un processo culturale che richiede tempo e maturazione. Il
denaro di per sé è come un caterpillar, spiana strade avanti a sé anche se –
molto spesso - lascia macerie.
- “Occorrerebbe
attuare il controllo demografico”
Il controllo demografico
contraddice l’idea stessa di libertà. E mi viene da pensare che a Popper
piacciano i bambini, ma senza esagerare; a patto che non facciano troppo
chiasso.
Una società che pianifichi le
nascite, di fatto è una società in cui la libertà è limitata. Mi si potrebbe
obiettare che il controllo demografico dovrebbe avvenire mediante
“l’educazione” e non attraverso la “coercizione” (come ha fatto la Repubblica
Popolare Cinese fino a pochi anni fa). Si tratterebbe solo di un modo gentile
di imporre una costrizione, di un’interferenza nella sfera personale degli
individui che contraddice uno degli aspetti più naturalmente personali della
vita umana: la riproduzione. In nome di un interesse collettivo (ancorché
legittimo) si limiterebbe la libertà dell’individuo.
- “Sulla
libertà”
La libertà come limite dato
dall’altro mi pare sempre e comunque un richiamo ad un’etica del vivere
collettivo che definisce i ruoli di ciascuno. Personalmente sono molto più
affezionato ad una definizione di Camus di libertà come scelta individuale. Per
Camus la libertà è la possibilità di scegliere la propria morte, quindi la
possibilità di essere individuo e di riconoscersi come tale.
- “Sui
bambini come classe”
I bambini non sono
rappresentativi di una condizione sociale, ma di una condizione esistenziale
transitoria. Non tutti i bambini sono uguali e non tutti hanno le stesse
esigenze. La fine delle classi sociali è avvenuta con la parcellizzazione dei
bisogni. I bambini hanno come unica esigenza comune la necessità di completarsi;
ma dato che i modelli culturali ed economici cui si richiamano sono diversi,
ciascuno ha un’idea di completezza diversa dall’altro. In più, manca loro una
coscienza di classe. Continuo a credere che Popper abbia qualche difficoltà nel
rapportarsi con i bambini…
- “Sulle
democrazie”
Le democrazie sono strutture
organizzate per difenderci dalla tirannia evidente, ma dato che il potere è
invisibile ed inafferrabile, la democrazia non è che un simulacro che permette
al potere di gestire con più facilità il popolo.
Siamo convinti di vivere in
democrazia perché celebriamo alcuni riti come le elezioni o ci infervoriamo in
discussioni politiche certi di poter essere parte di un sistema in cui abbiamo
valore (l’“uno vale uno” grillino!!).
Come nel “mito della caverna” di
Platone, noi siamo convinti di vedere la realtà, ma in verità vediamo solo le
ombre del reale; ombre costruite per tranquillizzarci.
Da questo punto di vista il
sistema sa che l’educazione assume un ruolo essenziale nell’insegnare alle
nuove generazioni a riconoscere quelle ombre come reali, nascondendo le vere
forme che si agitano al di fuori della caverna.
In quest’ottica l’assenza di
governo è governo di per se stesso, perché il potere per sua natura è eterno,
al massimo si sposta, si eclissa, ma non smette di esistere. Quindi l’assenza
di capacità del governo eletto è governo di entità che non hanno il diritto a
governare; tipico è l’esempio dei grand commis di Stato che si assumono poteri
che travalicano il proprio essere servitori dello Stato perché chi è deputato a
governare non è in grado. Oppure costituzionalmente riconosciuto è il potere
del Presidente della Repubblica italiano (i poteri assegnatigli dalla Carta
Costituzionale sono pochi, ma si ampliano quando la politica non riesce ad esprimere
un governo efficace, in ragione del proprio compito di garanzia della
Repubblica).
Che differenza c’è tra una
dittatura della maggioranza ed una democrazia? Forse il tempo garantito per
esprimere la propria opinione? O forse il contemplare anche le posizioni
minoritarie? O, ancora, il rappresentare anche le istanze delle minoranze? Ma
come farebbe una democrazia a contemplare le posizioni minoritarie? E poi, se
assumiamo l’idea che la democrazia è un simulacro, enfatizzare il ruolo del
dialogo significa solo enfatizzare una forma che lascia la sostanza invariata.
Se, invece, considerassimo la democrazia come un processo in cui si confrontano
diverse posizioni per determinare una decisione unica, appare naturale che la
posizione prevalente sia rappresentativa in massima parte delle forze maggiori.
Pietro Rinaldi