To do a common thing uncommonly well brings
success.” (H.J. Heinz)
Per tradizione o meglio cultura
familiare o semplicemente per soddisfare un innata, e tipicamente femminile,
curiosità sono da sempre affascinata dalla Storia.
Storia come spunto e strumento per comprendere il
presente, ma anche il racconto di grandi personaggi politici, mecenati,
condottieri e della Visione che ha mosso le loro azioni. Da medico igienista,
che si occupa di organizzazione del lavoro, mi appassionano le biografie di
capitani d’impresa coraggiosi, innovatori, creativi, in una parola Visionari. Da Enrico Mattei ad Adriano
Olivetti, da H.J.Heinz, Carl Benz, Walt Disney a Steve Jobs e tanti altri. Ciò che mi
motiva ad approfondire ed ad appassionarmi al racconto della vita di queste
straordinarie persone è il tentativo di comprendere la forza della loro visione
ed in qualche modo a guardarla si con umiltà, rispetto, senso critico ma anche
come sostegno e fonte d’ispirazione in un mondo che sta morendo di realtà, soffocato
dalla supremazia della tecnica. Ed è ciò per cui trovo interessante condividere
il racconto della vita di H.J.Heinz. Heinz nacque nel 1844 a Pittsburgh da
immigrati tedeschi. Sin da giovane mostrò una spiccata propensione agli affari
e all’orticultura. Come accadeva spesso a quei tempi, giovani immigrati
tedeschi aiutavano i genitori, ma la maggior parte non era lungimirante. Henry J. Heinz, invece, pensò in maniera
costruttiva e diversa e decise di iscriversi al Duff’s Business College. Grazie
alle competenze acquisite e alla sua meticolosità, ben presto mise in evidenza
le sue capacità nell’azienda paterna, tanto che da semplice contabile passò a
dirigere da solo l’azienda quando il padre ritornò in Germania. Nonostante la fabbrica rendesse bene e
Henry vivesse in condizioni agiate, non era del tutto soddisfatto. Era inoltre alla
ricerca continua di nuovi progetti imprenditoriali, intuì il profitto nella
distribuzione di ortaggi e prodotti vegetali su scala più ampia, ma data la
complessità dell’investimento cercò un socio per fondare la Heinz & Noble
Company.
La città di Pittsburgh stava gradualmente cambiando, dalle campagne
circostanti molti contadini si inurbavano per lavorare nelle grandi fabbriche.
La dieta degli operai comprendeva prodotti in scatola, veloci e pratici, ma
molto rischiosi per la salute, in quanto le misure igieniche relative alla
manipolazione, lavorazione e conservazione dei cibi erano molto scarse,
frequenti infatti erano i casi di tossinfezioni alimentari.. Per questo Heinz era
cauto nel lanciare nuovi articoli sul mercato. Con furbizia escogitò un piano
per verificarne la salubrità senza rischiare di rimetterci il nome: le prime
confezioni avevano le etichette dei concorrenti e, se nessuno si ammalava,
apponeva il proprio marchio. Avendo conquistato sempre più clienti, la vecchia
casa fu trasformata nella base dell’azienda, dove due casalinghe tedesche pulivano gli ortaggi, cosicché si conservassero
meglio e arrivassero ai consumatori con un bell’aspetto.
Heinz diventò velocemente un ricco mercante. Investiva
tutto il suo capitale nell’azienda, ricorrendo ai prestiti bancari per
allargare i suoi affari. Purtroppo la crisi del 1875 colpì fortemente i
creditori e Heinz, non essendo più finanziato, non riuscì a far fronte ai
debiti contratti nei confronti dei contadini, fornitori della materia prima.
L’azienda fallì e Heinz finì in prigione. L’imbarazzo del fallimento mandò
l’imprenditore in depressione, ma la
madre trovò presto una soluzione: fondare una nuova azienda in cui solo
formalmente fosse lei a capo, ma il figlio, figurando come contabile, dirigesse.
Iniziò un nuovo periodo nella vita di Heinz, dedicato completamente alla nuova
attività. Tutte le fasi della produzione, dalla coltivazione alla vendita,
erano personalmente controllate. A tutto il lavoro affiancò un’intensa
sperimentazione, specialmente sulla conservazione degli alimenti, e arrivò a un
risultato incredibile, una nuova versione della salsa di foglie di pomodoro, il
ketchup. L’azienda si espanse a tal
punto che fu costruita una nuova fabbrica. L’occhio per gli affari portò Heinz
a sfruttare subito la rete ferroviaria, sia per far consegnare gli ortaggi
prima sia per andare a commercializzare il suo prodotto. La strategia di
marketing stava nel far assaggiare ai compratori, tutto era servito in piatti
monouso ed in piccoli vasetti. Durante i viaggi di lavoro Heinz poteva anche
osservare nuove invenzioni e prendere idee. E proprio mentre stava recandosi a
New York, vide una pubblicità di scarpe che decantava un rivenditore per i
ventuno modelli disponibili, contò i suoi prodotti e, sebbene fossero più di
sessanta, prese come numero simbolo il 57, per lui segno di buona combinazione.
Durante la Fiera Mondiale di Chicago del 1893 dovette trovare un espediente per
attirare il pubblico al suo stand situato in una parte poco frequentata,
escogitò un modo del tutto innovativo, consegnare dei buoni per ritirare un
gadget nel suo stand, la “pickle pin”. La spilletta diventò un simbolo
dell’azienda che la distribuiva agli eventi e durante le visite alla fabbrica
per tutto il secolo successivo. Heinz inoltre fu sempre attento alle
innovazioni tecnologiche, appena poté usò le insegne luminose, inventate da
poco in Europa, per farsi pubblicità in una maniera del tutto innovativa. Nelle sue fabbriche, l’igiene e la salute dei
lavoratori erano premesse indispensabili. Aveva istituito un servizio di “sorveglianza sanitaria” ante litteram e
vi erano docce e lavabi a disposizione dei suoi dipendenti per le Donne un
sevizio di manicure gratuito perché Heinz sosteneva che “le mani che manipolano i cibi devono essere
pulite e curate” ed in generale tutto l’ambiente doveva essere
controllato. Aveva a cuore questa causa tanto da chiedere leggi sul controllo
della produzione, affinché si evitassero malattie. Le casalinghe e i
consumatori erano a favore e lo sostenevano al contrario degli altri
industriali, che ne sarebbero stati penalizzati. Heinz ottenne i risultati
sperati con il Pure Food and Drug Act approvato da Roosvelt, che proteggeva i
prodotti da additivi chimici e sofisticazioni.
Heinz dedicò la vita alla sua attività coinvolgendo anche la famiglia,
che prese in mano l’azienda alla sua morte. La sua ispirazione filantropica lo
spingeva a seguire con interesse le storie dei suoi dipendenti, facendosi
carico di pagare gli studi ai figli meritevoli e motivati dei suoi dipendenti.
Ed ancora, essendo un collezionista d’arte aveva raccolto molte opere che
condivideva con i suoi concittadini lasciando aperte le porte della sua dimora.
Tuttora la Heinz Food Company è guidata
dai suoi discendenti che si occupano dello sviluppo del marchio secondo i
principi del fondatore. La Heinz Food Company è tuttora il leader mondiale
nella produzione di ketchup e prodotti in scatola.
Ed è proprio nell’epilogo della storia che, a mio avviso,
c’è la forza di questo imprenditore illuminato. E risiede nella capacità di
coniugare tradizione e forti valori personali alla innovazione, alla libertà di
scelte coraggiose ed infine ad una visione sistemica dei processi lavorativi.
Mi piacerebbe che anche i dirigenti dei settori
produttivi del nostro paese, e soprattutto i dirigenti delle aziende sanitarie fossero
imprenditori illuminati. Poiché laddove non si produce un bene materiale, ma
immateriale e prezioso come la salute, fatto da persone per le persone è di
imprese e non di aziende che si dovrebbe parlare. E a dirigerla ci vorrebbero
imprenditori liberi di fare le scelte migliori, motivati da senso etico
dello stato e del lavoro, e soprattutto mossi da una visione che non si limiti
al proprio tornaconto personale. Ma
questa è un’altra storia, che forse nella nostra bella Italia in questo momento
storico, ha i tratti di una favola.
Cristiana
Parmeggiani