Prendo
spunto, nel titolo, dal film di Paolo Virzì, che tante polemiche ha suscitato in merito alla realtà amara dell’Italia che ne
viene fuori. La realtà sanitaria, specie al sud, è ancor più amara.
Per
interesse professionale e personale (per me si equivalgono in quanto non si fa
una professione ma si è quella professione) la grande tematica delle risorse
umane e del capitale che esse portano in ogni settore produttivo mi coinvolge
in modo particolare.
Il
capitale umano può essere definito come l'insieme delle conoscenze, capacità,
competenze e prerogative degli individui, che agevola la creazione del
benessere personale, sociale ed economico (Organizzazione per la Cooperazione e
lo Sviluppo economico OECD2, 2001). Il capitale umano insieme alle risorse
fisiche e finanziarie costituisce il patrimonio complessivo di ogni sistema
economico. Ma il suo valore strategico consiste nella capacità di interpretare
sistematicamente e con continuità i segnali che provengono dall’interno e
dall’esterno dell’organizzazione e le consentono di prevedere gli scenari
futuri adattandosi alle nuove esigenze mediante la formulazione di nuove idee,
prodotti, servizi e strutture
organizzative. Le competenze, peraltro, appartengono solo agli uomini e non
alle organizzazioni, per cui diviene indispensabile mantenere questo patrimonio
mediante politiche focalizzate sulla gestione delle competenze e orientate alla
fidelizzazione, formazione e sviluppo delle risorse umane.
Inoltre
l’attuale contesto sanitario è caratterizzato: da un lato da rapidi e continui
cambiamenti sociali, culturali, politici ed ambientali in cui si delineano
scenari che disegnano nuove geografie professionali, (ad esempio il sempre maggiore empowerment
delle professioni infermieristiche), nuove geografie di organizzazione del
lavoro (percorsi assistenziali integrati
- team work, sanità 2.0, etc..) e
nuove tipologie contrattuali (aumento dei contratti “flessibili”); dall’altro
da una crescente scarsità delle risorse economiche. Per superare tale
schizofrenia, la scelta migliore e a minor costo, è valorizzare le risorse
disponibili.
La centralità delle
risorse umane, pertanto, dovrebbe occupare un ruolo più forte nelle strategie
organizzative, “In effetti, volendo usare una metafora i sistemi sociali
complessi, così come lo è un’azienda sanitaria, non sono case ma alberi, non si costruiscono (progettano) solo, ma spesso crescono da sé (con lo
sviluppo delle persone) e, come un giardino, necessitano di cura, sensibilità e
pazienza” (F. Lega - SDA Bocconi). Ma come rendere
possibile tutto ciò e come importare cura, sensibilità e pazienza nell’attuale
Sistema Sanitario Italiano?
“Ah, ma qui è l’inganno!”. Attualmente, infatti, nella
Sanità Pubblica sono ancora esigui o per niente sviluppati gli strumenti
finalizzati ad un’adeguata valutazione e valorizzazione del personale. Premessa
essenziale per valorizzare il ruolo del personale è l’integrazione strategica, tra
le strutture ed i sistemi del personale e quelli dell’organizzazione. Il personale
dovrebbe essere coinvolto in maniera tale da renderlo partecipe dei processi
lavorativi dall’inizio fino al perseguimento degli obiettivi. Dunque una gestione sana e strategica
del capitale umano.
Pietra angolare di
questo sistema, così come di ogni sistema complesso in cui è necessario integrare
conoscenze e competenze, è la scelta d’investire sul capitale umano, di formare
le persone alla cura ed alle relazioni, di premiare i migliori senza trascurare
gli altri. Utile al proposito è la costruzione di una rete intraaziendale -
intranet di carattere informativo, decisionale ed operativa. Tale rete consentirebbe
di registrare gli eventi, tracciare i processi, implementare in maniera
operativa la partecipazione del personale. Occorre inoltre porre in essere
meccanismi concreti di valutazione del
personale, rendere chiari e fruibili a tutti i criteri di tale valutazione in
termini quantitativi ma anche e soprattutto qualitativi. Attualmente i sistemi
di valutazione sono, per lo più, un pateracchio formale in cui si da tutto a
tutti, o niente a nessuno, così da non scontentare i politici di turno o i
tecnici che, dei politici, sono
emanazione. Inoltre, potrebbe essere richiesto ed ampliato il ruolo delle
competenze non tecniche dove vengono descritte anche le attitudini personali
allo studio, gli interessi culturali, sociali e di svago che contribuiscono ad
aumentare la conoscenza e la consapevolezza di se, strumenti ritenuti
indispensabili nella gestione del rischio.
In
altre parole andrebbe garantita nella Sanità Pubblica la verifica e revisione
della qualità così come lo è la sicurezza sul lavoro. Purtroppo lo scenario
attuale, soprattutto in Campania, è molto distante dagli standard della qualità
finora descritti. Ad esempio che forza o credibilità può avere un Comitato
Unico di Garanzia (CUG) per le pari opportunità, la valorizzazione del
benessere di chi lavora e contro le discriminazioni (previsto obbligatoriamente in tutte le aziende
sanitarie ed ospedaliere) se non possiede strumenti oggettivi di verifica e
controllo della realtà organizzativa? Se l’unico strumento è la parola di uno
contro quella dell’altro?
La situazione non è molto incoraggiante, ma per
fortuna alcuni si muovono ancora in direzione ostinata e contraria. Ad esempio, l’AIRESPSA (Associazione
dei Responsabili e degli Addetti dei Servizi di Prevenzione e Protezione in
Ambito Sanitario) da tempo lavora su questi temi. Nell’ultimo convegno nazionale,
tenutosi a Roma dal 17 al 21 settembre 2013,
ha proposto di lavorare, con l’INAIL, affinchè si trovino le modalità
per rendere obbligatoria la revisione della qualità nei servizi sanitari pubblici così come già avviene per il privato. A mio avviso si
potrebbe aumentare la flessibilità interna in maniera tale da stimolare la
crescita individuale e di gruppo; ed ancora, si potrebbe educare al lavoro di
team e quindi al confronto inter ed intra professionale già a partire dagli
studi universitari.
Tutto
ciò si può progettare e realizzare solo attraverso gli strumenti propri della
qualità (descrizione dei processi, definizione di procedure, regolamenti e
deleghe, etc..), indispensabili per definire chiaramente ruoli, compiti, e
responsabilità, ed elementi imprescindibili per garantire trasparenza. Si
potrebbe in tal modo contribuire a combattere la piaga nazionale italiana che, in
tutti i settori, ma specialmente in sanità, è l’approssimazione, l’eccesso di
tolleranza e nei casi peggiori la corruzione. La saggezza antica asseriva, “Se
vuoi la pace, cura la giustizia”, laddove non vi è giustizia c’è guerra,
sfiducia, paura, e di conseguenza non vi è né potrà mai può esservi alcuna
crescita umana, civile, sociale e professionale.
Cristiana
Parmeggiani aggiornato al 21 febbraio
2014