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Adriano Olivetti



“Non vi è, al di là del ritmo apparente, qualcosa di più affascinante, una destinazione, una vocazione, anche nella vita di una fabbrica?”;  “Può l’industria darsi dei fini ?”; “Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti?”. Questi alcuni dei quesiti che Adriano Olivetti poneva ai lavoratori, all’inaugurazione della fabbrica di Pozzuoli più di cinquant’anni fa. Quanto lontani sono questi quesiti dalla realtà del capitalismo italiano dell’epoca, per non dire di quello attuale. L’industria può porsi degli obiettivi che vadano  oltre il guadagno ? Per far funzionare un’industria, un’azienda c’è bisogno di danaro, ed il fine di un’industria è quella di realizzare  dei profitti. Ma può un’industria, un’azienda, divenire lo strumento per contribuire a costruire una comunità di individui, in cui l’azienda, la fabbrica,  divenga anche luogo di miglioramento, materiale e morale ? Va dunque segnalato l’interessante progetto editoriale delle Edizioni di Comunità che hanno iniziato col pubblicare il  libretto di Adriano Olivetti,  “Ai lavoratori”  (Edizioni di Comunità pag.55 – 6 euro) cui ne seguiranno altri.  E’ di questi giorni  la ristampa di un altro saggio di Adriano Olivetti “Democrazia senza partiti”.  L’industria, secondo Olivetti, può e deve darsi altri obiettivi che vadano oltre il profitto. Il pensiero di Olivetti rappresenta, secondo alcuni,  un’utopia.  Ma alle parole Olivetti fece seguire i fatti. Dopo la fabbrica di Ivrea fu creato lo stabilimento di Pozzuoli, fu ulteriormente  rafforzato il raccordo tra qualità del lavoro, servizi sociali interni all’azienda, salari adeguati, innovazione tecnologica, urbanistica. Una capacità di produzione che sembra lontana anni luce dall’attuale contesto produttivo. Investimenti in  un settore innovativo altamente produttivo, l’elettronica che, nella fabbrica di Pozzuoli, con tutta probabilità, solo la prematura scomparsa di Adriano Olivetti, ha interrotto nel tempo. Un’idea di produrre, vendere, dividere gli utili, una pratica industriale innovativa che sembra un sogno raffrontata agli attuali anni che vedono il potere finanziario dominare l’economia. Anni nei quali non è più importante produrre beni per il mercato, ma comprare e vendere azioni, derivati, fare speculazioni che arricchiscono pochi e non hanno ricadute positive ed utili per i lavoratori e la gran parte della comunità.  Ma, non v’è dubbio che c’è ancora bisogno di coltivare utopie, di continuare a discutere di modelli produttivi che possano contribuire ad un armonico  sviluppo umano. Nell’attuale realtà che disdegna o si disinteressa delle ideologie, la riscoperta di quella che fu definita l’utopia olivettiana, può riaprire una discussione sui temi del lavoro, della dignità delle persone, essere utile esempio per chi fa impresa.

Roberto Landolfi        1 marzo 2013         (pubblicato nella sezione “lavoro”)