Inizio questa riflessione con una premessa: ho vissuto le esperienze dei
collettivi redazionali di «Madrigale» e
di «Ada
teoria femminista» con Lucia Mastrodomenico e con Angela Putino.
Ho attraversato una pratica politica che ha significato un’azione collettiva di
ciò che significa sperimentare tra donne.
Il pensare e il fare con
altre, tra altre, è stato improntato ad una propria pratica del gruppo: “tra
noi è come se ci fossero state osservatrici che hanno valutato sia lo svolgersi
dei nostri rapporti, sia l’importanza di sperimentare” (come si legge
nell’editoriale di “Madrigale” n.7). Ciò si è tramutato in un’autentica pratica
di relazioni politiche tra donne. Lucia è stata una guida nelle valutazioni del
nostro lavoro ma le modalità del rapportarci sono nate dal gruppo stesso; si
trattava di trasformare l’ispirazione nel proprio ambiente vivo.
Oggi, posso dire che Lucia e
Angela mi hanno insegnato a sperimentare il mio pensare con altre. Mi sono resa
conto che le parole e-seguono
l’esperienza. Con questo insegnamento hanno dato senso al desiderio di
conoscenza di ognuna di noi, oltre a fornirci un passaggio al nostro libero
pensiero: è stato un sentire nell’immanente.
Per Lucia sperimentare il
proprio pensiero necessita di grande e costante attenzione: un fare in libertà
ha bisogno di una continua elaborazione, anche la scrittura ne esce
trasformata. L’elaborazione è una continua ricerca, non ci si sente mai al
sicuro. Si è sempre un po’ a rischio, ci si avventura in direzione della
rottura, con un metodo trasparente ed una terza che osserva. Si svela così ciò
che fa urto e si stacca. Vivendo la possibilità di trovare l’inaspettato, ci si
può permettere di stanziarsi, di trovarsi, di svelarsi. A partire da sé, dalla
propria irriducibilità, Lucia ha pensato
con Angela e con altre donne. Ha curato un luogo di relazioni, insieme ad
Angela ha voluto aprire una finestra sul pensare a ciò che accade oggi.
Propongo di partire da
questa mia esperienza, perchè può aiutare a capire l’esercizio, la pratica e la
ricerca di Lucia, il suo agire politico collettivo, la sua capacità di mettersi
in contraddizione.
Invito alla lettura di uno
stralcio dell’ultimo articolo di Lucia dal titolo Solo l’amore salva, pubblicato originariamente nel
secondo numero della rivista on-line «Ada
teoria femminista». Qui Lucia riflette sulla parola amore e sulla
sua mancanza partendo dalla “camorra”, o’ sistema. Il collettivo di redazione prese spunto dal testo di
Roberto Saviano Gomorra,
tenendo ferma però la possibilità di pensare attraverso il pensiero
della differenza sessuale, a partire da un sapere altro per pensare il mondo:
“Vittime e carnefici di se stessi, sento che quello che ci paralizza in
una infelicità senza scampo è la mancanza d’amore. Parola facile, nutrimento
mancante, bisogno confuso, sostituzione pericolosa, mentale astrazione che
sterilizza il corpo.
Questa mancanza d’amore, espone le donne in maniera a volte drammatica;
gli uomini combattono guerre fra loro, le donne spesso contro loro stesse, ci
si può ammalare fino al deperimento del corpo. Il corpo che ci parla, che vuole
imparare a vivere, carnoso desiderio che nasce con noi, punito non dalle poche
cose che bastano per vivere, ma dal poco valore che diamo agli incontri. La paura
fa la sua apparizione nel corpo vulnerabile, anche quando con una pistola
puntata a distanza ravvicinata, il giovane di Secondigliano, tremando e
bagnando i suoi pantaloni firmati si accorge che non ce la fa a morire come fa
un vero camorrista. In quel momento, nell’assoluto abbandono, si rende conto
del dramma della sua vita; che quando si muore così, si muore assolutamente
soli. Fotografie mostrano la ferocia dei corpi dilaniati in tutte le
angolature, in tutte le prospettive. Nessuna presenza caritatevole si sono
meritate quelle vite da poco, il giorno dopo la scena avrà un altro nome e
cognome, un’altra famiglia.
Eppure l’amore di cui abbiamo bisogno dalla culla alla tomba, dentro e
fuori le mura domestiche, ci deve accettare per quelli/e che siamo, deboli ed
indifesi, incapaci di chiederne l’urgenza. È la mancanza d’amore a far nascere
odio, l’uso della forza, la subordinazione al potere in tutte le sue possibili
rappresentazioni.
Dobbiamo imparare ad amare, oggi, di nuovo, ancora.
Imparare dal cuore che capisce e
da cui la parola nasce.
Non ci si salva dalla mancanza d’amore, le donne lo sanno, hanno molto
pagato per questo. Nell’irrequietezza, nei colori senza filtro, nel mare porta
aperta sul mediterraneo, nel Vesuvio imprevedibile forza, si percepisce l’amore
confuso di cui siamo capaci. Il rischio è connaturale al vivere partenopeo,
dove per rischio c’è un’antica ingenuità di trovare qualcosa di buono, si,
trovare, un pò per miracolo, un miracolo che si rinnova, come quello di S.
Gennaro. Qui si nasce e si cresce aspettandosi poco e niente, a chi ti
riconosce una capacità si è riconoscenti in una dipendenza che ne vanifica il
valore.
Sarà per questo che in una “foia” senza età convive il disincanto, che
la distrazione non consente la continuità e i progetti stancano, solo la
meraviglia affranca dalla sfiducia umana; la generosità qui ha il carattere
dell’emergenza e del soccorso, per tutti, napoletani e non. È vero che il sole
cambia il nostro umore e dal mare viene energia, qui nel rapporto con la natura
si è soli senza nessuna guerra da combattere.
I bambini e gli ignoranti sanno sentire, ed il limite tra la vita e la
morte non è legato ad un filo, la vita è la vita, la morte è la morte. Della
malattia: diagnosticata, prevenuta, curata, loro conoscono solo il dolore che
irrompe nella vita, non il dolore che convive con la vita. Il popolo di Napoli
che io conosco è incistato di saggia ignoranza. Così si spicca il tuffo dagli
scogli più alti, il gesto inventivo, la parola secca, il canto gutturale.
Chi ama non è mai pentito, e il tradimento si consuma in gesti
incomprensibili, il perdono non perdona chi perdona. Si muore per un incidente
previsto ed ignoto, per la scelleratezza di una corsa senza casco, per sfida.
Chi ci può aiutare ad avere amore per la realtà cosi com’è, costruendo per essa
vaccini contro il rancore e la violenza? L’amore non si merita, si riceve e si
da per quelli/e che sono e siamo, solo riconoscendolo dentro di noi si da lo
spazio della sua azione. Strette, in cose, progetti, lavoro, obblighi veri ed
inventati abbiamo poca sensibilità per le cose essenziali. Credo ci sia la
possibilità di allontanarsi da riferimenti che crediamo sicuri e gestibili, la
realtà non è così ristretta, a guardarla bene è più grande, possono accadere
cose che non ci aspettiamo, so che questo è più vero per me con una donna, più
difficile e doloroso, con una donna.
A volte sono contenta, perché so meglio cosa fare, con chi e per chi
farlo, ed un pò di felicità arrivi anche a me”.
Nadia Nappo 3 febbraio 2013 (pubblicato nella sezione “Teoria")