La pedagogia della differenza.



Prime note intorno al libro di Lucia Mastrodomenico “Solo l’amore salva”.

“Per imparare a vivere, uomini e donne, a relazionarsi senza annullare la differenza, è necessario iniziare da piccoli”.
Lucia Mastrodomenico

Nel mese di dicembre 2012 l’associazione Madrigale per Lucia ha organizzato alla Mensa Bambini Proletari la presentazione del libro di Lucia Mastrodomenico dal titolo “Solo l’amore salva” a cura di Anna Nappo, Cinzia Mastrodomenico e Patrizia Melluso, con post-fazione di Luce Irigaray (Liguori). Si tratta di una raccolta di scritti scelti che abbracciano l’arco di circa un ventennio e che riflettono il pensiero e l’agire politico-civile di Lucia. Dal primo saggio, scritto nel gennaio del 1987, “Intimo”, si arriva all’ultimo scritto, “Solo l’amore salva”, che da’ il titolo al libro e che fu originariamente redatto per la rivista on-line Adateoriafemminista, fondata nel 2006 da Lucia e dalla filosofa napoletana Angela Putino. L’incontro di dicembre è stato il primo di una serie di appuntamenti che si svolgeranno nei prossimi mesi e che intendono affrontare, attraverso la forma sperimentale della conversazione pubblica a due, le tante questioni che percorrono il libro. In tale occasione, abbiamo scelto di parlare della pedagogia della differenza, non solo per la portata politico-affettiva del luogo in cui si è svolto l’evento, la Mensa, ma anche perché raffigura l’impegno costante di Lucia per la sua città e per i bambini e le bambine che la abitano.
L’introduzione di Cinzia Mastrodomenico ha messo in luce quanto le relazioni fossero al centro della vita di Lucia, e quanto il suo bisogno di conoscenza e di amore fosse legato a una radicale messa in gioco di sé e dell’altra/o. Corpo e amore, nutrimento e desiderio, rappresentano le parole chiave con cui Lucia ha tracciato il profilo di ciò che significa civiltà e la necessità di cambiare, attraverso il pensiero della differenza, il nostro approccio alla vita. La conversazione che si è aperta subito dopo tra Filippo Silvestri e me, è ruotata intorno alla parola nutrimento. Nutrimento da intendersi non solo in senso biologico, ma anche in senso spirituale. Ho provato ad accostare la parola nutrimento a quella di desiderio, convinta della loro affinità e della loro connessione. La “fame” di amare, di sapere, di condividere, di vivere, è essenziale alla vita stessa, al pieno dispiegamento della nostra umanità. Filippo ha ricordato invece le due esperienze di nutrimento che Lucia racconta nel libro. La prima, “Ricette di solidarietà”, riguarda una raccolta di fondi per i paesi asiatici colpiti dallo tsunami, attraverso la pubblicazione di un opuscolo di ricette di cucina. Un contributo inedito alle soluzioni proposte normalmente dalla politica maschile, ma non a quella femminile, capace di gesti simbolici affinché si ricominci a vivere con una nuova speranza, seppur in una terra sommersa dall’acqua. Al centro vi è un’idea vitale, di restituzione alla vita e alla gioia. Il nostro – scrive Lucia – è un gesto simbolico per la vita che deve riprendere a costruire il futuro. Riflettendo sulle cose della vita materiale si conoscono piccole verità inedite”. La seconda esperienza riguarda l’organizzazione di un laboratorio di cucina per i bambini/e, della loro felicità nel sentirsi autorizzati a giocare con utensili e in uno spazio che normalmente è loro proibito. Qui Lucia racconta, con una vivida rappresentazione di corpi, di quelle “felicità pericolose che solo le passioni possono dare”, di quell’allegria che nasce dallo sperimentare insieme e da quel desiderio di conoscere che anticipa e fa da motore alla vera e propria acquisizione di conoscenze. Le pratiche di Lucia con i bambini e le bambine della Mensa, rispondono a quel “voglio fortissimamente voglio dei bambini/e”, espressione del loro desiderio infinito e irriducibile che troppo spesso resta inascoltato e privo di attenzione. Un desiderio straripante e inaddomesticato che mal si accorda con la visione meccanica e organicistica di quella parte della nostra cultura che tenta di ridurre e di estirpare il surplus della vita.

Un altro punto che abbiamo toccato nella conversazione riguarda l’esperienza di Lucia con alcune donne africane di Aversa, in un gruppo di lavoro cui prese parte tra il 1998 e il 1999. La profonda inadeguatezza della nostra cultura ad accettare donne e uomini fuggiti da paesi dove la realtà quotidiana è insostenibile, fa sì che la loro accettazione passi o dalla loro disponibilità a lavorare di fronte a qualsiasi tipo di umiliazione, o dalla loro disponibilità a lasciarsi assimilare in contesti profondamente estranei alla loro cultura. La logica del ricatto s’insinua benissimo nelle maglie strette della necessità e della sopravvivenza, non lasciando alcuna possibilità per altro. Tra un’umiliazione oltre misura e un’assimilazione che cancella la specificità delle loro singolarità, Lucia scommette sulle “capacità che le donne hanno, a qualsiasi razza appartengano, di creare relazione” anche in situazioni di disparità e tenta di aprire spazi di libertà femminile in cui queste donne possano non solo riconoscersi l’un l’altra, ma anche riscoprire quel “di più” che era stato loro sottratto. Espropriate da loro stesse, dal loro corpo-anima e dalla loro lingua, Lucia racconta l’episodio di un’emarginazione vissuta da un gruppo di queste donne all’interno di un supermercato.  La loro presenza non gradita è manifestata dalla proprietaria del negozio attraverso un netto rifiuto a voler comprendere la lingua in cui parlano. E qui non si tratta certo di lingue o dialetti della loro terra d’origine, ma della lingua appresa dai loro colonizzatori, normalmente inglese o francese. È strano – scrive Lucia – come per un americano la conoscenza di due lingue sia segno di competenza comunicativa (…), mentre nel caso degli immigrati questa capacità passa in secondo ordine, si pretende che capiscano l’italiano perché il loro inglese non è funzionale allo scambio”. Lo straordinario suggerimento che Lucia dà a questo gruppo di donne è quello di fare come se nulla fosse, di parlare in inglese o francese come se la proprietaria capisse perfettamente cosa le stessero dicendo. Propone un ribaltamento della situazione per restituirle alla loro ricchezza linguistica e intellettuale: è la signora a peccare di provincialismo, non loro che parlano una delle lingue che l’Europa ha scelto come lingua internazionale. Lucia sa bene che la dignità lungi dall’essere qualcosa di pienamente riconosciuto a tutti gli esseri umani, ma sa anche che l’unico modo per combattere questa mancanza di riconoscimento è innanzitutto capire che la dignità è nelle nostre mani e non dobbiamo mai aspettarci che ci venga concessa da altri.
Il terzo e ultimo punto su cui ci siamo soffermati, riguarda la violenza che attraversa buona parte delle relazioni umane, in particolare quelle tra uomini e donne. Sono partita dalla recensione inedita che Lucia scrive sul film “Dogville” di Lars Von Trier. In questo breve articolo, Lucia sottolinea la profonda solitudine di Grace, la sua mancanza di mediazione femminile e il suo ricorrere, nel finale, alle legge del padre arrendendosi così irrimediabilmente alla bestialità di una strage senza riparo. Proprio in questo finale Lucia individua la mano di un regista uomo: la soluzione di Lars von Trier. Una distruzione finale cosmica in cui devono morire tutti e in cui non c’è possibilità di salvezza per niente e per nessuno. Filippo si è soffermato sul fatto che il regista proietta sulle donne questa disposizione degli uomini a fare carneficina, oppure, come in altri film, sulla predisposizione delle donne a mettersi in croce per salvare il mondo. Anche se involontariamente o inconsciamente si assiste a una svalutazione della relazione tra donne. Lucia, invece, considera la mediazione femminile come una vera e propria pratica politica che consente di riconoscere autorità a una donna, uscendo così da un riferimento valoriale unicamente maschile. In un universo univocamente plasmato è necessario insegnare che la conoscenza è, nasce a due. Di questo parleremo più approfonditamente nel secondo incontro che si terrà a gennaio.

Stefania Tarantino                                           3 gennaio 2013              pubblicato in “Teoria"