L’intuizione di una possibile analogia fra microcosmo
e macrocosmo attraversa tutta la storia del pensiero umano. Mentre rimane
sostanzialmente a costante fondamento delle filosofie e religioni orientali,
nelle diverse fasi storiche della civiltà occidentale, invece, tale idea di
legame del Tutto è stata variamente elaborata o respinta dalla cultura di volta
in volta “ufficiale”.
Presente nel mondo greco con Ermete Trismegisto e
Pitagora, diviene in epoca medievale sapere esoterico ed alchemico. Conosce nuovo impulso creativo con
l’umanesimo e poi nel Romanticismo. Nel novecento, la fisica quantistica
sovverte ogni rappresentazione lineare dell’universo e apre scenari, tutti
ancora da esplorare, in cui tutte le microparticelle che compongono la materia
sono in relazione tra loro. Ma ancora permane nel cosiddetto pensiero
“scientifico”, l’abitudine che fu cartesiana a separare per poi contrapporre
ciò che nel flusso della vita appare interrelato, contraddittorio, contaminato.
Con questi due termini (micro e macro) si indicano,
storicamente, la persona umana e il resto immenso dell’universo. E’ insito
proprio nel termine di analisi il concetto di dicotomizzare ogni realtà che
cade sotto la nostra osservazione, di contrapporre i termini, di spezzettare
ogni problematica anziché cercare di averne una visione d’insieme. Una tale
tendenza della ricerca scientifica ufficiale ha sicuramente prodotto
approfondimenti e sviluppi utili in quasi tutti i campi dello scibile ma, come
rovescio della medaglia, ha generato una superspecializzazione che ha creata una mancanza di una visione d’insieme
che ci impedisce la comprensione della realtà nella sua essenza unitaria. La
medicina allopatica ha seguito questo percorso.
Ma la domanda è: “ si
potrebbe andare oltre, superando quella che è la tendenza a suddividere, spesso
in due campi contrapposti, ogni problematica da analizzare?”
Se, infatti, riusciamo a superare anche il concetto
duale di microcosmo e macrocosmo è possibile
concepire quello di una unità del tutto. Vale a dire ci si prospetta
una concezione unitaria e globale dell’esistente, quella sempre presente e
sempre rimossa nella nostra tradizione filosofica.
Nel tentativo di voler apportare un contributo alla
dimostrazione della verità di un tale principio mi avvalgo della legge di
analogia, che, in genere, è del tutto misconosciuta dalla scienza ufficiale,
mentre è a fondamento della teoria e della pratica omeopatica.
Riconoscendo, da omeopata, come valida l’analogia tra
microcosmo e macrocosmo mi domando quindi
come si possa superare questa dualità e quali esempi si possano portare
a favore di una tesi unitaria, nel senso sopra descritto.
L’organismo umano (microcosmo) consta di miliardi di
cellule, tutte interconnesse nella straordinaria funzione esistenziale. Alcune
di queste cellule, se vengono prelevate viventi, possono sopravvivere in
particolari terreni di cultura. Un esempio di una tale possibilità è data dalle
cellule epatiche che possono sopravvivere e moltiplicarsi in un particolare
terreno di cultura, detto liquido di Ringer. Queste cellule quindi hanno una
vitalità propria, starei per dire una loro individualità a prescindere
dall’essere collocate nell’organismo di appartenenza. Se avessero coscienza di
tale dote potrebbero presumere di poter vivere ed esistere separate dal tutto
rappresentato per esse dall’organismo intero.
Orbene io analogicamente posso immaginare che la
persona umana, disconoscendo per ignoranza, la sua appartenenza a un tutt’uno,
non conoscendo i legami, le interconnessioni organiche e funzionali che lo
legano in maniera indissolubile all’organismo universo, perda la visione giusta
della realtà vera e definitiva del suo esistere.
Certamente la causa di una tale visione limitata è in
gran parte legata alla paura di perdere il senso della propria individualità sperdendosi nel mare magnum del macrocosmo
universo. Si può correre persino il pericolo,
in casi estremi, di incorrere in
patologie di spersonalizzazione e di timor panico.
Ritengo che una visione giusta dell’appartenenza a una
totalità non ci sia regalata ma che sia invece una conquista dell’integrazione
psichica della persona umana. La strada da seguire ci viene suggerita da vari
indirizzi di studi e di tecniche varie. Il binario però è unico: è quello
dell’amore. E’ l’unico che ci può staccare dal tenace abbarbicamento alla
nostra individualità singola. E’ l’unico che ci possa condurre alla concezione
di una solidarietà umana e universale e farci uscire dal nostro egoico
individualismo. Ed è l’unico metodo che possa darci la felicità, perché non c’è
felicità senza solidarietà.
Giorgio Liotti
- 1 dicembre 2012
pubblicato in “sanità”
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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