L’inizio sarà scontato, ma quanto
mai obbligato…L’Italia è una Repubblica
fondata sul lavoro, e Ogni cittadino
ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta,
un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale
della società. La nostra costituzione assegna un ruolo senz’altro nobile al
lavoro, tanto da farne la chiave di volta dell’architettura dello stato
repubblicano. Eppure da nord a sud la sgobada
(Lombardia) diventa o‘ travaglio
(Sicilia) passando p’a fatica
(Campania), rimandando un senso di grande sforzo, quasi oppressione. Lavorare,
Sgobbare, Faticare, Travagliare; i termini utilizzati più frequentemente come
sinonimi del verbo lavorare certamente non riflettono quel senso tanto nobile
che, invece, sembra essergli assegnato dagli estensori della nostra
costituzione.
Si può vivere senza lavorare? No.
E non in senso economico. Se lentamente
muore chi è infelice sul lavoro, insieme a chi non capovolge il tavolo e a chi non
insegue i propri sogni, molto più rapido è il processo di degrado umano da non lavoro… Si perché il lavoro è luogo,
spazio e tempo di realizzazione della propria personalità. Ciò che facciamo ci
esprime! Un quadro, una melodia, un gioco con i nostri figli, una collezione,
un rapporto di amicizia: spazi e tempi di espressione della nostra personalità.
E il lavoro? Anche! Il lavoro che facciamo, o meglio, qualunque esso sia,
quanto bene lo facciamo, quanto impegno e dedizione ci mettiamo, ci esprime. Invece il lavoro è vissuto spesso come a world apart. Comportamenti e valori
che rifuggiamo nelle altre “sezioni” della nostra vita ci sembrano giustificate
sul luogo di lavoro. Come se l’unica legge che possa governare questo spazio
metà-fisico fosse la legge della giungla… Che poi non è così male…La giungla è
un sistema molto più imperniato sulla giustizia di molti nostri luoghi di
lavoro.
E allora. Trovo molto
interessante il tema della cooperazione, in generale, e lo strumento
“imprenditoriale” della cooperativa sociale, in particolare. L’impresa. Questo
mostro squaloide che imperversa nelle nostre economie devastando territori ed
economie contigue pur di raggiungere quel fine del profitto rispetto al quale
qualunque mezzo è giustificato. Quel luogo dove il Padrone opprime con
insopportabili e a volte anche ingiustificati atti di tirannia violenta schiere
di indifesi sottoposti… Ma come la politica, come la sanità, come l’educazione,
anche l’impresa rappresenta uno spaccato della nostra società. Non è lo
strumento ad essere malvagio, al limite lo è chi lo utilizza.
Cooperare dovrebbe significare
operare con, scegliere di operare insieme per un fine comune. In etologia il
termine indica due o più organismi che condividono i benefici di un’azione
compiuta insieme. La società in generale potrebbe essere definita come ‘un
gruppo di individui della stessa specie organizzati in modo cooperativo’. Si
ma il fine? Cooperare per un fine comune condividendone i benefici appare
azione assai buona…ma anche la banda Bassotti rappresenta un esempio di
cooperazione.
Lo strumento impresa cooperativa
rappresenta una suggestione molto forte. Il principio di “una testa un voto”
racchiude, io credo, un modello di società e di rapporti umani prima ancora che
un modello di impresa. Un modello di relazioni umane di tipo circolare, anziché
piramidale. In cui l’apporto di ciascuno
è valutato in funzione della qualità delle proprie proposte, non della quantità
di denaro con cui le sostiene. È possibile ciò avvenga anche nel lavoro? Che si
possa immaginare un’impresa in cui i “proprietari” non sono datori di lavoro,
masti, principali, padroni, ma
componenti di un cerchio in cui sono differenti, e condivisi, ruoli e
responsabilità di ciascuno, senza che questo comporti che qualcuno si senta al
di sopra e qualcuno di sotto di altri?
Articolo pubblicato in “Lavoro”
Danilo Tuccillo 21.11.12